19/09/2008, 00.00
MYANMAR
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A un anno dalla repressione delle proteste dei monaci: nulla è cambiato

Il 18 settembre 2007 iniziava la pacifica protesta di decine di migliaia di monaci contro la giunta, repressa nel sangue. Città e monasteri presidiati per impedire commemorazioni. La giunta si arricchisce e riduce la popolazione sempre più alla fame, nell’indifferenza mondiale.

Yangoon (AsiaNews/Agenzie) – Massiccia presenza di soldati e polizia a presidiare le strade di Yangoon e molti grandi monasteri, controlli su ogni auto e passante, ieri, 18 settembre, primo anniversario del giorno nel quale migliaia di monaci buddisti sono scesi in piazza nell’intero Paese, sfilando tra gli applausi della gente, in protesta per le violenze dei militari contro i monaci nella città di Pakokku. Fu l’inizio di una manifestazione di massa, guidata da decine di migliaia di monaci del Paese, applaudita dalla comunità mondiale, repressa nel sangue dal regime militare con violenza sistematica.

Soprattutto, il 18 settembre 1988 è stato creato il Consiglio di Stato per la restaurazione della legge e dell’ordine (Slorc), organo militare che ha posto fine alla lotta per la democrazia di studenti e monaci, scesi in piazza nella primavera del 1988. Dopo la repressione la giunta, per legittimare il suo ruolo, convocò nel 1990 libere elezioni, che però vennero invalidate dai generali che alle urne furono sconfitti dalla “Lega per la democrazia” di Aung Saan Suu Kyi. La leader pro-democrazia è stata agli arresti domiciliari per 13 degli ultimi 19 anni, persino visitata più volte da inviati della Nazioni Unite che non hanno ottenuto risultati per la sua liberazione.

Ieri polizia ed esercito hanno indossato una cravatta rossa, segno di “massima all’erta”. Nei giorni precedenti sono stati arrestati numerosi attivisti, tra cui Nilar Thein, protagonista delle proteste di un anno fa. Nelle prigioni birmane si stimano esserci almeno 2mila prigionieri politici: attivisti per i diritti umani, almeno 196 monaci autori delle proteste del 2007, esponenti delle minoranze etniche, che i militari continuano a sterminare.

C’è uno stretto controllo su internet. Un monaco racconta che “Non possiamo nemmeno sederci tranquilli in un internet café. Le autorità ci sorvegliano come terroristi”.

Il Myanmar, un tempo ammirato per lo sviluppo economico, è uno dei Paesi più poveri del mondo, risultato di decenni di malgoverno e corruzione dei militari che si appropriano delle molte ricchezze locali. Più di un terzo dei bambini sono malnutriti, la popolazione spende oltre il 70% del reddito per mangiare e oltre il 35% è sotto la soglia della povertà (ha meno di un dollaro al giorno per vivere), secondo le stime delle Nazioni Unite, ma i dati reali sono peggiori. Dall’inizio di settembre circa 2mila etnici Chin ridotti alla fame hanno passato il confine vicino a Mizoram per cercare lavoro in India: la giunta impedisce ai Chin di ricevere le forniture alimentari donate dai birmani all’estero.

Per la violazione dei diritti umani, Stati Uniti e Unione europea hanno imposto sanzioni economiche e non commerciano con il Myanmar. Ma la giunta fa ottimi affari con i vicini asiatici: Cina, ma anche le democratiche Thailandia e India e gli altri Paesi della zona.

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