12/04/2012, 00.00
ISLAM - FRANCIA
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Abdennour Bidar: Mohammed Merah, un mostro creato dalla malattia dell'islam

di Samir Khalil Samir
Un grande filosofo musulmano francese si domanda se la violenza salafita - come quella che ha ucciso i bambini della scuola ebraica di Tolosa - non sia il sintomo di qualcosa di guasto nella tradizione musulmana. Una religione che si è chiusa in se stessa. Per rinnovare oggi l'islam occorre accettare la sfida della modernità e dell'umanesimo. " Chi avrà questo coraggio ? Chi si prenderà questo rischio ? ". L'analisi di p. Samir Khalil.

Beirut (AsiaNews) - Mohammed Merah, ucciso a 23 anni, è tristemente famoso per aver compiuto, lo scorso 19 marzo, la strage dei bambini ebrei davanti alla scuola di Tolosa (Francia) e per l'uccisione giorni prima di alcuni parà francesi a Montauban. Assediato per ore dalla polizia nella casa dove si era rinchiuso, è morto in uno scontro a fuoco lo scorso 22 marzo.

Abdennour Bidar è un filosofo francese musulmano[1], che ho avuto la gioia di conoscere.  Il 23 marzo scorso, egli ha pubblicato un articolo sul quotidiano "Le Monde", dal titolo: "Merah, un monstre issu de la maladie de l'islam  (Merah, un mostro creato dalla malattia dell'islam ) ". Vista la sua importanza, vorrei presentarlo qui.

"Dopo che l'uccisore di Tolosa e di Montauban è stato identificato come 'salafita jihadista'... il discorso dei dignitari dell'islam in Francia è stato quello di evitare ogni 'amalgama' fra la radicalità di questo individuo e la 'comunità' pacifica dei musulmani di Francia" per ben "distinguere fra islam e islamismo, islam e violenza".

Rimane però una grave questione : " Nel suo insieme, la religione islam può essere sdoganata da questo tipo di azione radicale ?... Non vi è comunque in questo gesto l'espressione estrema di una malattia dello stesso islam ? ".

Bidar ricorda che nell'islam esiste una " degenerazione " che prende delle forme multiple : " ritualismo, formalismo, dogmatismo, sessismo, antisemitismo, intolleranza, incultura o 'sottocultura' religiosa sono i mali da cui è incancrenita ".

Queste malattie sono diffuse, ma si trovano anche " musulmani moralmente, socialmente, spiritualmente illuminati dalla loro fede ". Non si può dunque dire che " l'islam è per essenza intollerante ". Si può però dire che l'islam contiene - affianco a esigenze morali certe - anche elementi di intolleranza che riappaiono a periodi in diverse circostanze. E aggiunge : " Tutti questi mali che ho enumerato alterano la salute della cultura islamica in Francia e altrove ".

Di fronte a una simile situazione, i musulmani devono reagire con coraggio. L'autore dice che l'islam deve riconoscere " che questo tipo di gesto, pur essendo estraneo alla sua spiritualità e alla sua cultura, è comunque il sintomo più grave, più eccezionale, della profonda crisi che esse attraversano ". E si domanda : " Chi avrà questo coraggio ? Chi si prenderà questo rischio ? "

Ci si può chiedere perché l'autore parli di coraggio. Il motivo è che "da diversi secoli" l'islam è bloccato nelle sue certezze. Non osa rimettersi in questione. Si accontenta di affermare e riaffermare la sua "verità". Più si afferma con forza, più mostra la sua debolezza interna. Di fronte al mondo che lo contesta, esso risponde con la violenza, perché non osa affrontare il mondo esterno, se non per dichiararlo malvagio e corrotto. Esso "è incapace di autocritica", dice Bidar.

È questa la malattia dell'islam: "considerare in modo paranoico che ogni messa in causa dei suoi dogmi è un sacrilegio. Corano, Profeta, ramadan, halal, ecc..: anche presso individui educati, coltivati, in tante cose pronti al dialogo, il minimo tentativo di rimettere in causa questi totem dell'islam, si scontra con un ultimo rifiuto".

Nella loro maggioranza, i musulmani negano a chiunque di poter rimettere in questione le loro tradizioni, i loro riti, i loro costumi o abitudini. Essi si sono murati nel loro mondo proprio, che assolutizzano, sacralizzano, dichiarano sacro. "La più parte delle coscienze musulmane si rifiutano e  rifiutano pure a chiunque il diritto di discutere ciò che una tradizione fissata in una sacralità intoccabile ha istituito da millenni: riti, principi, costumi, che però non corrispondono più a tutti i bisogni spirituali del tempo presente".

Essi sono rimasti attaccati a queste tradizioni, stabilite nel 7° secolo, in un contesto beduino, e "non si rendono conto nemmeno loro stessi che sempre più sovente, le loro rivendicazioni  hanno cambiato natura". I valori che essi sostengono come autenticamente musulmani, perché fedeli alla pratica degli "Antichi" (i salaf, da cui la parola salafita), non corrispondono più del tutto ai criteri attuali degli stessi musulmani, criteri stabiliti "in nome di valori del tutto profani: diritto alla differenza, alla tolleranza, alla libertà di coscienza".

E il nostro autore aggiunge: "Come stupirsi se in questo clima generale di civilizzazione, congelato e schizofrenico, qualche spirito malato trasformi e radicalizzi questa chiusura collettiva in fanatismo assassino?".

In effetti, per i salafiti, il modello rimane fissato al passato, all'epoca del "Profeta", al VII secolo, al modello della società beduina o sedentarizzata di recente. Il modello va all'indietro e non in avanti. Il vero musulmano, per questi salafiti, per ritrovare la vera essenza dell'islam, deve operare un ritorno all'indietro e non guardare in avanti, questo "avanti" rappresentato dalla cultura occidentale, bollata come corrotta e depravata.

Il musulmano medio reagisce dicendo che questi salafiti sono l'eccezione, che essi non rappresentano il vero islam, che è un islam retrogrado, ecc... Nello stesso tempo, i salafiti si presentano come i soli "autentici", perché essi sono fedeli alla "Tradizione del Profeta" (sunnat al-Nabi), e che il Profeta è presentato nel Corano come il modello per eccellenza (Corano 33 : 21). A sua volta, il musulmano medio ribatte che l'islam autentico è l'islam pacifico, conforme al Corano che dice "Nessuna costrizione in materia di religione " ((Corano 2, 256).

Il musulmano medio dice che " un fanatismo simile è [solo] di qualcheduno e che  'è l'albero che nasconde la foresta di un islam pacifico' ".

Ma Bidar si pone la domanda : " Qual è lo stato reale della foresta in cui alberi simili prendono radice ? Una cultura sana e una vera educazione spirituale avrebbero potuto generare mostri simili ? "

Tali casi sono ormai troppo numerosi per essere solo un albero nella foresta ! Come mai vi sono così tanti " fanatici ", i quali quali sono spesso persone educate, che superano alla lunga la media dei musulmani ? Com'è che tanti occidentali convertiti all'islam, o musulmani che da tanto tempo vivono in occidente si sentono attirati verso questo estremismo ?

E più ancora, com'è che tanti imam e guide, formati nei migliori e più autentici centri islamici mondiali, facciano poi pubblicità per un islam simile ?

"Alcuni musulmani - dice l'autore - intuiscono che questo tipo di questione è stata ritardata per troppo tempo. Inizia a emergere  fra loro la coscienza che [col tempo] diverrà più difficile voler deresponsabilizzare l'islam dai suoi fanatici, e di fare come se fosse sufficiente richiamare alla distinzione fra islam e islamismo radicale ".

Di fronte alle frequenti manifestazioni dell'islamismo radicale è troppo facile dire soltanto che questo non è l'islam. La "primavera araba" che vediamo svilupparsi sotto i nostri occhi è troppo sovente trasformata in un "autunno islamico". E questo islamismo rischia di riportarci alla civiltà del deserto.

E Bidar proclama: "Ma per molti più musulmani deve diventare evidente che ormai in questa cultura religiosa le radici dell'albero del male sono troppo assorbite e troppo numerose perché essa continui a credere di potersi accontentare di denunciare le sue pecore nere... L'islam deve accettare il principio della sua completa rifondazione o - senza dubbio - della sua integrazione a un umanesimo più vasto, che lo conduca alla fine a superare le proprie frontiere e orizzonti".

Si tratta dunque di un superamento di sé, "delle proprie frontiere e del proprio orizzonte", come dice il prof. Abdennour. O avviene questo o è la morte. Si tratta di "rifondare in modo completo" in un "umanesimo più vasto". E a questo punto egli pone la domanda: "Ma[l'islam] accetterà di morire in questo modo perché dalla sua eredità rinasca una nuova forma di vita spirituale? E dove cercare l'ispirazione per questo superamento?".

Da buon professore di filosofia, Abdennour ("il servitore della Luce"), dà questa risposta: "Come specialista del pensiero fra i più profondi dell'islam, io vedo che i pensieri filosofici e mistici di Averroè (1126-1198) e di Ibn Arabi (1165-1241) [hanno] una saggezza che è stata perduta - la maggioranza dei musulmani non conosce più nemmeno i loro nomi. Ad ogni modo, non si tratta di farli risuscitare, né di ripeterli. È ormai troppo tardi per questo. Si tratta di trovare il loro equivalente per il nostro tempo. Da questo punto di vista, non basta essere pronti ad ammettere che alla fine vi è "una malattia generale dell'islam" e che occorre tornare a queste "saggezze del passato".

Vi è dunque una "malattia generale dell'islam". Da diversi decenni l'islam attraversa una crisi fra le più forti. La maggior parte degli intellettuali e dei pensatori illuminati lo dicono e lo ripetono. Molti tentano di uscire da questa crisi, ma la tendenza fondamentalista è più forte e blocca ogni sforzo di rinnovamento o di riforma, come dice Bidar. Il punto è che il salto in avanti è un salto nell'ignoto, con tutti i rischi che esso comporta, mentre il ritorno all'indietro sembra sicuro, conforme alla Sunnah ed è rassicurante. Per Bidar, l'islam "deve re-inventarsi una cultura spirituale". Quest'ultima parola  è una delle parole-chiavi del nostro filosofo, in tutte le sue opere: la spiritualità. Citiamo allora la sua conclusione:

"La sfida è molto più importante. Occorre che l'islam giunga a questa lucidità completamente nuova in cui comprendere che esso deve reinventare una cultura spirituale sulle macerie del materiale morto delle sue tradizioni. Ma, altra difficoltà importante, esso non potrà farlo da sé e per sé: a tutt'oggi non servirebbe a nulla voler istituire un "umanesimo islamico" affianco a un "umanesimo occidentale" o a un "umanesimo buddista". Se il domani del XXI secolo è spirituale, ciò non avverrà in modalità separate fra le differenti religioni e visioni del mondo, ma sulla base di una fede comune nell'uomo. Da trovare insieme".

 


[1] Nato a Clermont-Ferrand il 13 gennaio 1971 da madre francese musulmana.  Educato dal nonno, un laicista estremo, egli cerca la sua strada in un islam riflesso e spirituale. Ho incontrato personalmente Bidar il 12 luglio 2007 al Senato di Parigi, durante il Colloquio «Europa-Oriente : Dialogo con l'Islam », patrocinato Christian Poncelet, presidente del Senato (v. : http://www.senat.fr/colloques/europe_orient/europe_orient_mono.html).  Con altri, Abdennour doveva trattare il tema « Si può adattare l'islam all'Europa ? » ; io (insieme a Mohammed Arkoun, Abdelmajid Charfi e Youssef Seddik) dovevo trattare la questione « Si può concepire un'esegesi islamica ? ». Abbiamo avuto uno scambio profondo e personale, che per me rimane indimenticabile.  Egli è anche autore di numerosi articoli e soprattutto di cinque opere che hanno fatto molto discutere :  Un islam pour notre temps (Un islam per il nostro tempo, 2004) ; Self Islam, Histoire d'un islam personnel (Self-Islam, storia di un islam personale, 2006) ; L'islam sans soumission. Pour un existentialisme musulman (L'islam senza sottomissione. Per un esistenzialismo musulmano, 2008) ; L'islam face à la mort de Dieu. Actualité de Mohammed Iqbal (L'islam davanti alla morte di Dio. Attualità di Mohammed Iqbal, 2010) ; Comment sortir de la religion ? (Come uscire dalla religione ?, 2012).

 

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