27/07/2005, 00.00
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Adivasi cacciati dalle loro case per costruire un "villaggio modello"

Il progetto è finanziato dall'Unione Europea. Il vescovo di Dinajpur e la Caritas a fianco dei tribali.

Dhaka (AsiaNews/Ucan) – Abitanti delle tribù del nord-ovest del Bangladesh sostengono di essere stati espropriati delle loro case dai rappresentanti dei governi locali e si sono riunite a nella capitale, nei giorni scorsi, per protestare. Secondo alcuni portavoce adivasi (indigeni), gli ufficiali del distretto di Dinajpur hanno buttato fuori dalle loro abitazioni almeno 65 famiglie. Altre 50, nel distretto di Rajshahi, sono state minacciate. Il governo locale vuole creare alcuni adarshya gram (villaggi ideali), con finanziamenti della Comunità Europea. Le prime 65 famiglie, le cui case sono state distrutte, sono in seria difficoltà e sono state costrette a sfollare nel villaggio di Borodol, nel distretto di Dinajpur, 190 km a nord di Dhaka. Secondo quanto riportato il 21 luglio dal quotidiano nazionale in lingua bengalese "Daily Janakantha", membri del partito hanno fisicamente attaccato alcune persone e hanno minacciato le famiglie di Rajshahi, in maggioranza indù.

Circa 150 manifestanti dai due distretti si sono riuniti presso lo Shahid Minar (monumento dei martiri) il 23 luglio per protestare contro gli espropri. Appartengono in maggioranza alle tribù Mal pahari, Oraon, Pahari e Santal. I leader di varie altre minoranze da tutto il Paese, a maggioranza musulmano, sono giunti per sostenere la protesta. Il leader dei santal, Malai Tudu, che ha combattuto per l'indipendenza del Bangladesh dal Pakistan nel 1971, ha letto l'articolo della costituzione che garantisce a tutti i bengalesi il diritto a vivere in libertà. Ha citato vari emendamenti, tra cui quello che fissa l'islam come religione di Stato. "Cosa significa il fatto di aver combattuto nella guerra di liberazione?", si è chiesto addolorato. Albert Sorren, assistente universitario e cattolico santal, ha posto la stessa domanda a nome di molti altri adivasi che hanno combattuto per la liberazione. Si è chiesto se gli espropri siano dovuti alla lontananza del governo, incapace di controllare le amministrazioni locali. "Il governo deve sapere come gli adivasi hanno abitato quelle zone per centinaia di anni", ha affermato. Santosh Sorren, direttore della Caritas a Dinajpur, ha dichiarato che le terre degli adivasi risultano "khash, cioè terre di nessuno", dove famiglie hanno vissuto indisturbate da oltre cent'anni. La maggior parte delle famiglie minacciate a Rajshahi sono indù, mentre 15 delle 65 famiglie di Dinajpur sono cattoliche e si guadagnano da vivere con lavori occasionali o coltivando la terra. La Caritas sta cercando di aiutare queste famiglie con sussidi, attrezzature per la riabilitazione e assistenza. Un rappresentante della Caritas ha dichiarato che il vescovo di Dinajpur, mons. Moses Costa, ha chiesto al ministro per gli Affari delle Donne e dei Bambini di mettere a tema questi espropri. Ha anche chiesto un'indagine giudiziaria per far sì che le famiglie possano ritornare nelle loro terre. Mons. Costa ha scritto al primo ministro e al vice-commissario del distretto di Dinajpur per giungere ad una soluzione sul piano umanitario. Il vescovo ha anche scritto al rappresentante dell'Unione Europea a Dhaka, poiché l'Ue finanzia la creazione del "villaggio ideale" di Dinajpur.

Gli adivasi sono discendenti di antichi abitanti del subcontinente indiano. Nel Bangladesh a maggioranza musulmano, rappresentano una minoranza non solo etnica: molti sono indù, altri cristiani. Sono circa 2 milioni gli adivasi che vivono nel Nord, che conta 31 gruppi etnici. Molti di questi gruppi sono cristiani. Secondo il Bangladesh Catholic Directory gli adivasi sono la maggioranza dei cattolici bengalesi. Nella diocesi di Dinajpur ci sono 38924 cattolici divisi in 12 parrocchie, mentre a Rajshahi i cattolici sono 40699, in 11 parrocchie. Nel Nord del Bangladesh i cattolici sono più dei protestanti.

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