15/04/2021, 08.54
TURCHIA
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Ahmet Altan, giornalista e scrittore, libero dopo quattro anni in prigione

Il 71enne intellettuale era stato condannato per coinvolgimento nel fallito golpe dell’estate 2016 contro Erdogan. Attivisti hanno denunciato abusi e violazioni nel processo a suo carico. Le sue prime parole: Notizia giunta “all’improvviso. Voglio trascorrere del tempo con i miei figli”.

Istanbul (AsiaNews/Agenzie) - “Non so dire come ne sia uscito. Ero seduto [in prigione] e, all’improvviso, mi hanno detto che la sera stessa mi avrebbero rilasciato”. Sono le prime parole del giornalista e scrittore turco Ahmet Altan, liberato ieri dopo oltre quattro anni trascorsi in galera in seguito alla condanna per un suo (presunto) coinvolgimento nel tentativo di rovesciare l’ordine costituito. Il riferimento è al (fallito) golpe di metà luglio 2016, sferrato secondo il presidente Recep Tayyip Erdogan da (presunti) sostenitori del predicatore islamico Fethullah Gülen, un tempo alleato e oggi nemico numero uno di Ankara.

Il verdetto della Corte di Cassazione giunge a un giorno di distanza dalla richiesta ufficiale di libertà per il 71enne intellettuale avanzata dalla Corte europea per i diritti dell’uomo (Echr). Commentando il processo attivisti e membri della società civile hanno denunciato ripetute violazioni ai diritti civili dell’imputato, nel contesto di un processo motivato da ragioni politiche. 

“Ho appena visto i miei figli - ha dichiarato Altan all’Afp - e ora voglio trascorrere un po’ di tempo con loro”.  

Direttore di quotidiano e apprezzato scrittore, egli era stato arrestato in seguito alla pubblicazione di alcuni articoli critici verso il presidente Erdogan e a sostegno dei diritti dei curdi. Fra i capi di accusa che hanno determinato il suo fermo, e il successivo processo, quello di aver “disseminato messaggi subliminali al pubblico”. I giudici lo hanno poi riconosciuto colpevole di voler rovesciare il governo, una sentenza poi annullata dall’organismo di terzo grado. Il processo ha subito una revisione che ha portato infine alla condanna a 10 anni e sei mesi per “sostegno a una organizzazione terrorista” coinvolta nel tentato golpe. 

Nel 2017 lo stesso Altan si era appellato alla Corte europea per i diritti umani, definendo “grottesche” tutte le accuse nei suoi confronti. Osservatori e attivisti occidentali, soprattutto europei, hanno seguito a lungo e con attenzione la vicenda giuridica del giornalista, assieme a quella di altri detenuti eccellenti per reati di pensiero e di opinione. Spesso in passato emissari e diplomatici europei, molto più dei colleghi americani sotto la presidenza di Donald Trump, hanno sollevato la questione dei diritti umani negli incontri con gli omologhi di Ankara. In questo senso, il caso più celebre - e controverso - riguarda Osman Kavala, in cella senza alcuna condanna per quasi quattro anni e arrestato di nuovo dopo essere stato scagionato da tutte le accuse nel 2019.

Dalla notte del tentato colpo di Stato, in cui sono morte 250 persone e che per alcune ore ha fatto vacillare il potere di Erdogan, il governo ha lanciato una caccia alle streghe. Attacchi mirati contro decine di migliaia fra oppositori, intellettuali, attivisti, personalità in patria e all’estero, militari e giudici, docenti e intellettuali. Persone accumunate dall’appartenenza, reale o presunta, alla rete del predicatore islamico, o ai movimenti di opposizione filo-curdi, o ancora sacerdoti condannati al carcere per aver offerto un pezzo di pane di nome della “carità cristiana”. 

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