08/07/2015, 00.00
INDIA
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Amartya Sen: Senza puntare sull’uomo, Narendra Modi non farà progredire l’India

In un’intervista a un noto quotidiano nazionale, il Nobel per l’economia fa un bilancio del primo anno di governo del premier nazionalista indù. L’intellettuale ribadisce preoccupazione per gli aspetti più radicali della nuova amministrazione, e parla del persistente problema della disuguaglianza di genere.

New Delhi (AsiaNews) – L’India merita di meglio del programma di sviluppo economico in cui crede Narendra Modi e della deriva hindutva che sta prendendo il suo governo. Ne è convinto Amartya Sen, noto economista e premio Nobel, che in un’intervista al quotidiano The Indian Express torna a parlare del Primo ministro, verso cui non ha mai risparmiato critiche. In occasione dell’uscita del suo ultimo libro, The Country of First Boys (“Il Paese dei primi ragazzi”), il docente dà una valutazione del primo anno di governo del leader nazionalista indù, oltre a parlare della “forte preferenza di genere” che ha reso la condizione femminile indiana tra le peggiori dell’Asia “per aspettativa di vita, tasso di alfabetizzazione, istruzione e sopravvivenza”.

“La cosa positiva di Modi – ammette Sen – e che gli ho riconosciuto ben prima, era quello che diceva al popolo: possiamo fare le cose. Lo ammiravo allora, lo ammiro adesso. Il problema inizia con ciò che lui vuole che sia fatto”.

Secondo il premio Nobel, Modi ha “una comprensione errata dello sviluppo economico. Si può pensare allo sviluppo come a un processo incentrato sull’essere umano, o sulla leadership finanziaria e industriale. Egli appartiene senz’altro alla seconda scuola di pensiero. C’è bisogno dei leader finanziari, è indubbio, e anche degli imprenditori industriali. Ma l’umanità deve restare nel mezzo. In tal senso anche il precedente governo ha fallito, ma stava cercando di correggere un poco [gli errori] con piani come il Sarva Siksha Abhiyan o il Midday Meal, i cui fondi sono stati appena tagliati”.

Questo approccio rende l’India “stonata” rispetto al resto del continente: “Il modello asiatico di sviluppo economico ha combinato il potere dell’economia di mercato con la capacità delle persone di condurre una buona vita. C’è una certa idea che tu prima diventi ricco, e poi innalzi il livello di sviluppo umano. Ma ogni Paese che ha avuto successo – sia che guardiamo all’Europa e all’America, al Giappone, alla Corea del Sud, a Taiwan, a Singapore, a Hong Kong, alla Cina o alla Thailandia – si è concentrato sull’aumentare la capacità umana insieme al potere dell’economia di mercato. Noi non prestiamo attenzione a questo, come se la qualità dell’essere umano non fosse centrale allo sviluppo dell’uomo. Se l’India ha fatto male in passato, ora fa anche peggio”.

Da un certo punto di vista, Sen non è rimasto stupito dalla direzione presa dall’amministrazione: “Hanno esaltato il Gujarat [Stato dove Modi è stato chief minister per 10 anni, ndr], che potrà aver avuto un alto tasso di crescita, ma ha trascurato il lato umano. Di recente l’Economist ha mostrato come i tassi di vaccinazione [in Gujarat] siano più bassi di quelli del Bihar [uno degli Stati più poveri dell’India, ndr]”.

Ciò che ha spinto l’economista a prendere una posizione decisa contro il premier ai tempi delle elezioni “era la mia preoccupazione sugli elementi hindutva nell’agenda di Modi. Nonostante la retorica dica il contrario, ci sono stati casi di chiese attaccate, cerimonie di ghar wapsi. L’India si merita di meglio di questo. In tal senso, sono stato rassicurato? Temo di no”.

Nell’intervista, Amartya Sen racconta che i primi contatti con il problema della disuguaglianza di genere li ha avuti già da bambino, a scuola, dove “il primo ragazzo della classe [da cui deriva il titolo del libro, ndr] doveva essere per forza maschio, oltre che un vincente. Lo trovavo offensivo persino da piccolo”.

Più avanti, da studente alla Presidency University di Calcutta e poi da insegnante all’università di Jadavpur, si è ritrovato “sconvolto non solo dalla disuguaglianza, ma dal fatto che le persone ne erano a conoscenza e la davano per assodata. Mi sono sentito dire che [il mio] era un punto di vista occidentale, che le donne indiane non pensavano a se stesse come individui, ma come un’estensione delle loro famiglie. Ho avuto una discussione alla Delhi School of Economics negli anni ’60 e ho detto che questa era una forma di estrema negazione dell’individualità di una persona, che è il bene più grande che abbiamo. Questo è il modo in cui la disuguaglianza sopravvive, trasformando i diseredati nei sostenitori della disuguaglianza”.

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