08/10/2008, 00.00
RUSSIA
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Anna Politkovskaya, come Sakarov e Solzenicyn

di Viktor Khroul
Centinaia di persone hanno ricordato ieri la giornalista uccisa due anni fa. La Russia uno dei Paesi più pericolosi al mondo per i giornalisti. Il suo messaggio è un appello a credenti e non credenti a osare nell’andare a fondo della verità. Un’analisi del prof. Viktor Khroul, docente di giornalismo all’università di Mosca.

Mosca (AsiaNews) – L’anniversario dell’assassinio di Anna Politkovskaya, la giornalista della Novaya Gazeta uccisa il 7 ottobre del 2006 non è passato inosservato. Diverse centinaia di persone hanno sfidato ieri la pioggia radunandosi nel centro della capitale per una commemorazione. Centinaia di poliziotti hanno circondato la folla a piazza Pushkin, fra i quali vi erano colleghi della giornalista, parenti, attivisti per i diritti umani e politici dell’opposizione.

Intanto, il tribunale del distretto militare di Mosca  ha annunciato che il 15 ottobre comincerà il processo a 3 sospettati della morte della giornalista, molto nota per la schietta opposizione a Vladimir Putin e al mondo dell’esercito. Quando è stata uccisa stava collezionando testimonianze sulle violazioni ai diritti umani in Cecenia.

Dmitry Muratov, editore della Novaya Gazeta, ha criticato la decisione di processare i tre sospetti davanti a una corte militare perché teme che questa possa rilasciare liberi i prigionieri. Gli accusati dell’assassinio della Politkosvskaya, uccisa davanti al portone di casa, sono due ceceni - i fratelli Dzhabrail and Ibragim Makhmudov – e l’ex membro della polizia Sergei Khadzhikurbanov. Rustam Makhmudov, un altro ceceno che si pensa sia stato il capo della banda, è fuggito all’estero; un membro della polizia segreta, Pavel Ryaguzov, è stato prima incriminato e poi scagionato. Rimane in custodia cautelare in attesa del processo, accusato per abuso di potere.

Vera Politkovskaya, 28 anni, figlia della giornalista uccisa, ha detto di temere che i nomi dei veri mandanti  dell’assassinio di sua madre “non verranno mai fuori nel nostro Paese”.

Nel parco vicino alla casa della giornalista è stato innalzata la copia di un monumento a lei dedicato, con un tavolino dove i presenti hanno deposto dei fiori. Alcuni portavano suoi ritratti gridando “Libertà di parola, non assassinii!”.

Ecco quanto scrive di lei Viktor Khroul, professore di giornalismo all’università di Mosca:

 

È molto difficile capire cosa succede nella Russia di oggi. È difficile non solo per gli stranieri, ma anche per noi russi a causa delle immagini frammentarie che riceviamo dai media. Per questo è molto importante avere giornalisti che cercano di ritrarre un’immagine vera della realtà, aiutando a comprendere le radici degli eventi e le ragioni di ciò che accade.

Anna Politkovskaya, 48 anni, uccisa il 7 ottobre 2006 sull’ascensore della casa dove viveva, era un inviato speciale del quotidiano Novaya Gazeta e autrice di libri che documentano molti crimini in Russia. Era una giornalista che sfidava il sistema  e le autorità. Era stata bandita dalla televisione russa, ma – paradossalmente – tutti conoscevano la sua faccia.

Io non l’ho conosciuta di persona. Ma ci siamo incrociati diverse volte a qualche incontro di Amnesty International: io ero fra i reporter, lei era fra gli invitati a parlare. Ha cercato di dire al mondo la verità sui crimini in Cecenia, le violazione dei diritti umani in tutta la Russia, gli abusi di potere, la corruzione a tutti i livelli della società. E ho visto come lei diveniva triste davanti alle domande aggressive di scrittori filo-governativi, che di fatto sembravano non avere alcun interesse per la verità. Anna provava vergogna per quelle persone che si definivano “giornalisti”, ma erano ignoranti, mancavano di equilibrio e obbiettività.

Andrei Sakharov e Alexander Solzhenitsyn sono stati “la coscienza della nazione”. Anna Politkovskaya è considerate “la coscienza del giornalismo” in Russia. Alla sua morte, Yassen Zassoursky, decano della facoltà di giornalismo all’università di Mosca, ha detto: “La nostra coscienza è stata uccisa”. Insegnando a studenti nella stessa università e cercando di risvegliare le loro coscienze alla realtà, spesso cito i testi di Anna e chiedo agli studenti di immaginare cosa Anna avrebbe fatto in alcune situazioni. Era un grande esempio per tutti i giornalisti, giovani e vecchi, di cosa vuol dire avere una responsabilità morale nella professione.

Ammiro molto Anna perché non è emigrata dalla Russia, come invece hanno fatto molti cosiddetti “lottatori per i diritti umani”: non è fuggita anche se ha ricevuto spesso minacce di morte. Il caso più famoso è stato quando hanno cercato di avvelenarla a bordo dell’aereo che la portava a Beslan per scrivere sul dramma degli ostaggi. Quella volta i dottori le hanno salvato la vita, fermando il veleno. Ma nessuno ha potuto fermare i colpi di pistola e i proiettili.

Dal 1993 più di 40 giornalisti sono stati uccisi in Russia e nessun killer è mai stato condannato. Un esempio: il giornalista Usa Paul Khlebnikov, dell’edizione russa di Forbes, è stato assassinato nel luglio 2004 a Mosca, ma la persona che ha ordinato l’assassinio deve essere ancora identificata. Continue domande di inchieste indipendenti sono state ignorate. La Russia rimane uno dei posti più pericolosi per i giornalisti.

Quando è stata uccisa, la Politkovskaya stava lavorando su un articolo che denunciava le torture dei civili ceceni da parte delle forze di sicurezza, leali al primo ministro, amico di Mosca. I suoi reportage apparvero sulla Novaya Gazeta, il più importante giornale di opposizione, uno dei pochi indipendenti nella massa di media sempre più controllati dallo stato e dagli oligarchi.

La Politkovskaya è stata uccisa nel 20° anniversario del lancio della glasnost di Mikhail Gorbachev, che aveva portato alla fioritura di una stampa libera. Gorbachev ha definito l’assassinio della Politkovskaya “un grave crimine contro la nazione, contro tutti noi … e un colpo a tutta la stampa democratica e indipendente”.

Per i lettori occidentali è interessante sapere che la Politkovskaya ha condannato molte volte la colpevole indifferenza delle loro società verso ciò che succede in Russia, sulle violazioni ai diritti civili… Quanti cattolici occidentali sono davvero interessati a ciò che capita ai cristiani in Russia?

In vita e in morte, Anna Politkovskaya è stata capace di mostrare il lato oscuro della Russia moderna. Tutte le sue pubblicazioni avevano un sogno, uno scopo: servire il bene comune, affrettare i tempi della solidarietà e sussidiarietà, rendere la società più umana e perciò più cristiana. Per questo molte persone pregano per lei; è per questo che sulla sua tomba vi è una croce.

Tutta la vita di Anna Politkovskaya può essere descritta come una chiamata a tutti noi – giornalisti e lettori, russi e stranieri, cristiani e non cristiani, credenti e non credenti – di andare a fondo nelle cose, di osare fendere le acque alte: duc in altum! (cfr Luca, 5,4).  

Giovanni Paolo II ha fatto di questo appello una chiamata per tutte le persone del terzo millennio (cfr Tertio Millennio Ineunte, n. 1). Anna Politkovskaya ha lanciato questo appello a tutta la Russia.

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