30/08/2004, 00.00
ASIA - VATICANO
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Asia, continente della persecuzione e del martirio

di Gerolamo Fazzini

"L'eroico esempio di Giovanni Battista fa pensare ai martiri della fede che lungo i secoli hanno seguito coraggiosamente le sue orme. Anche oggi, in alcune parti del mondo, i credenti continuano ad essere sottoposti a dure prove per la loro adesione a Cristo e alla sua Chiesa".

A un mondo distratto - per il quale la fede è sovente qualcosa di fuori moda e ancor più anacronistico il dono della vita in nome di essa - e a una cristianità che spesso dimentica i fratelli di fede che vivono in situazioni di persecuzione, Giovanni Paolo II nell'Angelus di domenica (giorno dedicato alla memoria del martirio del Precursore) ha ricordato, ancora una volta, il pesante tributo di sangue che in vari Paesi i cristiani continuano a pagare.

Le statistiche confermano quel che il Papa, va dicendo fin dall'enciclica Ut unum sint, datata 1995, e cioè: il nostro è tornato ad essere il tempo dei martiri. Sono una quarantina i Paesi in cui si è registrato, dal 2000 ad oggi, almeno un caso di morte violenta a danno di cristiani. Il martirio si è "globalizzato" e tocca tutti i continenti e i diversi contesti culturali. Quanto avviene in Asia ne è la conferma.

Le situazioni più delicate per i seguaci di Cristo oggi si registrano nei Paesi a maggioranza islamica. In alcuni di essi - basta citare Arabia Saudita, Afghanistan o Pakistan - i cristiani sono letteralmente cittadini di serie B e oggetto di pesantissime discriminazioni, come prova il caso del il caso del cattolico indiano O'Connor (che AsiaNews segue da vicino)  da 6 mesi imprigionato a Riyadh per aver "predicato Gesù Cristo".

Il recente cambio politico alla testa dell'India fa sperare che possa migliorare la condizione dei cristiani, notevolmente peggiorata negli ultimi anni a motivo del fanatismo indù, scatenatosi a più riprese contro le altre minoranze religiose. Recenti attacchi in Orissa e in altri stati orientali del Paese, però, non inducono a facili ottimismi.

Anche nelle aree a influenza buddista difficoltà non mancano per i credenti in Cristo. Su 8 stati asiatici a maggioranza buddista, come segnala il Rapporto 2004 di Aiuto alla Chiesa che soffre, uno solo – la Thailandia – assicura una sostanziale libertà religiosa a tutte le fedi mentre un altro – il Vietnam – le perseguita tutte, buddismo compreso.  In mezzo, una gamma diversificata di situazioni nel segno della "prova": il riferimento è soprattutto a Sri Lanka (dov'è in discussione una legge anti-conversioni che penalizza di fatto i cristiani), Myanmar e Cambogia. 

Nei regimi comunisti, infine, la professione pubblica della fede e l'esercizio del culto sono pesantemente sottoposti all'ingerenza politica quando non negati esplicitamente. In Corea del Nord la presenza cristiana è limitata a piccoli gruppi di fedeli protestanti, spesso vittime di anni di "rieducazione" in campi di lavoro: anche solo possedere una Bibbia è motivo sufficiente per anni di prigionia. In Laos il governo comunista ha dichiarato espressamente di voler eliminare i cristiani, perché ritiene il cristianesimo una "religione straniera imperialista". Nella Repubblica popolare cinese i diritti religiosi, garantiti sulla carta, sono oggetto di interpretazioni arbitrarie spesso negati da funzionari zelanti che sequestrano materiale religioso e anche i personaggi (vescovi, preti o laici) considerati "scomodi". Le leadership politiche hanno il compito di mostrare che la libertà religiosa non è una benevola concessione dello Stato ma un diritto individuale intoccabile.

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