08/01/2021, 14.13
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Assalto al Congresso: grave danno all’immagine di Washington in Asia

Cina e altri Paesi ostili vi vedono il declino della democrazia Usa. Gli attivisti democratici di Hong Kong non sono come gli assalitori trumpiani. Dittature escono rafforzate. Il 70% della popolazione Usa condanna l’irruzione a Capitol Hill.

Hong Kong (AsiaNews) – Un danno all’immagine internazionale degli Stati Uniti è il frutto di un gruppo di sostenitori del presidente Donald Trump che ha assaltato il 6 gennaio il Congresso. L’idea in diversi Paesi asiatici è che Washington non può più orientare le scelte di altri Stati, visto che non è in grado di risolvere i propri problemi interni; le difficoltà nel contenere la pandemia da coronavirus rafforzano tale convinzione.

La Cina ha colto l’occasione per criticare la politica e la società Usa. Secondo la televisione statale Cctv, l’azione dei sostenitori di Trump “ha distrutto gli ultimi brandelli della democrazia americana”. Dopo gli attacchi lanciati dal governativo Global Times, il ministero cinese degli Esteri ha ribadito l’accusa a media e istituzioni statunitensi di usare “due pesi e due misure” quando si trovano di fronte a proteste popolari. Le autorità di Pechino evidenziano che mentre i dimostranti trumpiani sono considerati “assalitori terroristi”, i manifestanti pro-democrazia di Hong Kong sono visti come “combattenti per la libertà”.

Gli attivisti anti-establishment dell’ex colonia britannica hanno risposto che le due proteste non sono paragonabili. I dimostranti che hanno fatto irruzione nel Legco (il Parlamento cittadino) due anni fa chiedevano infatti più democrazia, non il rovesciamento di un voto ritenuto corretto dalle autorità competenti e dalla maggioranza della società civile.

Fra gli avversari di Washington prevale la linea adottata da Pechino. Konstantin Kosachev, presidente del commissione per gli Affari esteri del Senato russo, spiega i fatti di Capitol Hill con il “deragliamento” della democrazia Usa. Egli aggiunge che dietro ai disordini vi sono le “piattaforme politiche impersonali” di democratici e repubblicani. In un discorso televisivo, il presidente iraniano Hassan Rouhani ha parlato degli Usa come di una democrazia “fragile” e vulnerabile al populismo. Raoof Hasan, assistente speciale del premier pakistano Imran Khan, ha detto a Voice of America che l’assalto a Capitol Hill dimostra che gli Usa non hanno la legittimità morale per giudicare il grado di democraticità di altri Paesi.

I partner asiatici degli Stati Uniti si sono detti sconcertati per i fatti di Washington. In un post su Facebook, un parlamentare sudcoreano della maggioranza evidenzia il principale effetto di quanto accaduto: quello di rafforzare le dittature, che adesso hanno un elemento in più – il presunto decadimento dei sistemi democratici – per giustificare il proprio potere.

La Thailandia, alleata di Washington, è un esempio. Da mesi il Paese è attraversato da proteste giovanili che chiedono il superamento dell’attuale regime autoritario. In tono derisorio, esponenti delle forze governative si chiedono ora se quello visto in questi giorni è il “modello di democrazia che [gli Usa] vogliono imporre al resto del mondo”.

Gideon Saar, leader del Partito della nuova speranza, formazione che sfiderà il Likud alle prossime elezioni israeliane, sottolinea i pericoli di una estrema polarizzazione politica anche in una democrazia consolidata come quella Usa.

Ma gli Usa sembrano avere le risorse per reagire: secondo un sondaggio Ipsos, il 70% dei cittadini Usa condanna infatti l’attacco al Congresso; il 74% chiede invece che gli assalitori siano arrestati

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