09/01/2007, 00.00
INDIA
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Assam, “politici e militari, veri burattinai del massacro dei migranti”

Un sacerdote di Diphu analizza per AsiaNews la strage dei migranti del Bihar per mano dei secessionisti dell’Ulfa. Le vittime, 62, sono i bersagli facili di una guerriglia manovrata.
Diphu (AsiaNews) – La guerriglia secessionista dell’Assam continua a mietere vittime civili, i “bersagli facili di un movimento sfruttato da politici e militari che vogliono vedere il sangue ricoprire l’intera regione. Solo una volontà forte può fermare questa carneficina”.
 
E’ questo il commento di un sacerdote di Diphu, p. Tom Mangattuthazhe, che dalla capitale locale analizza per AsiaNews la situazione che si è venuta a creare nello Stato nord-orientale dell’Unione indiana.
 
Da 4 giorni, infatti, i militanti del Fronte di liberazione unito di Asom (Ulfa) hanno lanciato una vera e propria ‘caccia all’uomo’ contro i migranti provenienti dallo Stato centro-orientale del Bihar, accusati di essere “stranieri che rubano il lavoro ai locali”. Con i 3 morti di ieri il numero delle vittime è salito fino a 62, mentre si registra l’esodo di tutti coloro che riescono a fuggire.
 
Il p. Mangattuthazhe dice: “Non riesco a capire cosa vogliano ottenere dall’omicidio di tante persone innocenti.  Anche in passato, i militanti dell’Ulfa hanno attaccato a caso la popolazione: credo sia un modo per far capire a tutti che essi sono presenti, che lottano”. Eppure, “la recente spirale di violenza deve avere un obiettivo più preciso: sparano contro persone che parlano l’hindi, ma li definiscono ‘stranieri’ ed urlano che devono essere cacciati dall’Assam”.
 
Non si può ignorare, sottolinea il sacerdote, che “in questa situazione, il governo ha fallito del tutto: non è riuscito a proteggere la vita o le proprietà delle vittime ed ora si deve assumere la propria parte di responsabilità per questi omicidi. Chiaramente non si può pretendere che sia lo Stato a proteggere tutti, sempre, ma quello che fa paura è che le autorità non agiscono contro chi definisce un cittadino indiano ‘straniero’ anche sul suolo natio”.
 
Il governo dell’Assam “dovrebbe aver imparato già questa lezione: nel 2003, si è verificata qui una carneficina senza movente. Ora le cose si ripetono, ma nulla si muove per fermarle. Certo, i partiti politici locali ed altre forze sociali si sono unite per condannare gli incidenti, ma non l’Ulfa: si scagliano contro il governo, e basta”.
 
Le radici di questa violenza affondano nella storia dello Stato. Fino al 1826, infatti, l’Assam è vissuto isolato ed indipendente: la sua popolazione non ha mai accettato del tutto l’unificazione con l’India ed ha portato avanti con orgoglio le proprie radici storiche, culturali e sociali. Nel 1979 è iniziata una vera e propria guerriglia secessionista, costata finora almeno 15mila morti.
 
Per p. Mangattuthazhe, “l’Ulfa ha sfruttato questo fattore ed ha scatenato la violenza contro tutti coloro che ritiene stranieri. Il massacro di civili deriva dalla volontà dei militanti di creare un ordine nuovo e convincere Delhi a trattare, ritirando l’esercito dell’Unione da questa zona. Uccidono i migranti perché sono bersagli facili”. La violenza ha attraversato tutto il territorio: si sono registrate vittime nei distretti di Tinsukia e di Karbi Anglong.
 
Per capire ancora di più, “è importante sottolineare come siano falliti i tentativi di creare una solida economia locale: anche se, di media, il livello di istruzione è alto, qui i disoccupati sono tanti. Con l’ingresso della regione nell’Unione indiana, la coltivazione di tè (caposaldo dell’economia locale) è crollata. Gli abitanti dell’Assam rifiutano gli investitori ‘stranieri’, li accusano di voler distruggere le loro radici storiche, e vedono nei migranti dei ladri”.
 
La reazione del governo centrale “è stata quella di trattare questa insurrezione solo come un fenomeno locale, forse istigato dal Bangladesh, per cui basta una legge apposita. Qualcun altro ha proposto una cascata di rupie da lanciare sopra l’Assam, senza un piano di investimento o sviluppo. E senza questi, non si crea lavoro”.
 
La conclusione di p. Mangattuthazhe è amara: “Credo che esistano forze socio-politiche che hanno interesse nel vedere l’Assam sanguinare: l’insurrezione non è una protesta contro la presenza di stranieri, vera o presunta che sia. E’ divenuta un affare, per militari e politici. Arrivati a questo punto, solo una volontà forte può fermare la strage degli innocenti”. (NC)
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