01/03/2016, 12.37
PAKISTAN
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Attivisti: Siamo contro la pena di morte, ma l’impiccagione di Qadri ha reso giustizia

di Shafique Khokhar

La morte dell’assassino dell’ex governatore Salman Taseer ha sollevato un ampio dibattito tra gli islamisti e coloro che condannano le esecuzioni capitali, ma ritengono che in certi casi siano giustificate. L’impiccagione di Qadri è “da accettare in quanto funzionale a salvare vite innocenti in futuro”. Essa dimostra che le istituzioni sono “pronte a sfidare in modo serio la mentalità estremista”.

Rawalpindi (AsiaNews) – Nessuna gioia o soddisfazione per l’impiccagione di Mumtaz Qadri, la guardia del corpo che nel 2011 ha assassinato l’ex governatore del Punjab Salman Taseer per la sua posizione contraria alla legge sulla blasfemia. In linea generale, la pena di morte è da condannare ma in questo caso è stata fatta giustizia ed è stato rispettato lo Stato di diritto. È l’opinione di alcuni noti attivisti e pedagogisti del Pakistan, che commentano ad AsiaNews la condanna eseguita ieri contro il radicale islamico. La sua esecuzione sta sollevando un ampio dibattito tra i sostenitori dell’islam più fondamentalista e quanti ritengono che la giustizia debba prevalere, in casi estremi anche per mezzo di una condanna a morte.

Ishtiaq Ahmed, pedagogista, riferisce: “Il dilemma riguarda la pena di morte. Io ritengo che in alcune circostanze straordinarie l’eccezione alla regola sia giustificata. Dato il tipo di società come quella pakistana, essa può fungere da deterrente. Qadri era una guardia del corpo e ha tradito le sue responsabilità nella protezione del governatore. In linea generale la pratica della pena di morte deve essere abbandonata, ma in questo caso è da accettare in quanto funzionale a salvare vite innocenti in futuro”.

I sostenitori di Qadri, che lo esaltavano come “eroe nazionale”, in queste ore stanno scendendo nelle strade di tutto il Paese. Al suo funerale, previsto per oggi, sono attese milioni di persone e si teme lo scoppio della violenza.

Secondo Samson Salamat, attivista e presidete di Rawadari Tehreek (Movimento per la tolleranza), la decisione del presidente Mamnoon Hussain di non concedere la grazia, “è un raro esempio di come la giustizia possa prevalere in casi simili di alto profilo, soprattutto perché Taseer è stato ucciso in nome della religione. Sembra che le istituzioni statali siano pronte a sfidare in modo serio la mentalità estremista che ha prevalso negli ultimi 30 anni, nonostante i timori delle reazioni negative”. “È necessario fermare – continua – i gruppi militanti fuori legge che stanno diffondendo l’odio, si deve mettere un freno a tutti i tipi di discorso dell’odio”.

Altri attivisti ritengono che l’esecuzione capitale lasci latente un senso di insoddisfazione. È il caso di Peter Jacob, direttore del Centre for Social Justice, che afferma: “Se da una parte c’è la famiglia di Qadri che piange la sua morte, dall’altra l’impiccagione chiude la ferita che sanguina da cinque anni per la famiglia di Salman Taseer”. L’attivista ricorda Shahzab Taseer, uno dei figli del governatore rapito dai talebani, di cui ancora si ignorano le sorti e Asia Bibi, “la cui sentenza di morte nel 2010 in base alla legge sulla blasfemia ha acceso questa tragedia. La donna langue ancora in prigione. È difficile dire in questi casi che giustizia è stata fatta del tutto. Ci opponiamo alla pena di morte, ma sosteniamo anche lo Stato di diritto. Non è il momento né di gioire né di essere soddisfatti, ma l’uccisione di Qadri potrebbe scoraggiare l’abuso della legge sulla blasfemia nel breve periodo”.

Netta invece è la condanna di Naveed Walter, presidente del Human Rights Focus Pakistan (Hrfp): “Mumtaz Qadri è andato incontro al suo destino. Un criminale deve essere punito dalla legge. Il Pakistan ha vinto. Questo passo di sicuro scoraggerà il terrorismo basato sul fondamentalismo religioso. Il governo deve assicurare totale sicurezza ai luoghi di culto delle minoranze, dal momento che c’è il pericolo della reazione degli islamisti”.

Ata-ur-Rehman Saman, membro della Commissione nazionale giustizia e pace, aggiunge: “Siamo contrari alla pena di morte ma il governo ha mandato un chiaro messaggio: chiunque assume la legge nelle proprie mani, non rimarrà impunito. Questa decisione è un punto di svolta nella nostra storia”. Quanto è accaduto, conclude Humza Arshad, studioso ed educatore, “dimostra che il potere dei partiti islamici si sta corrodendo”. 

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