15/05/2010, 00.00
THAILANDIA
Invia ad un amico

Bangkok, protesta delle “camicie rosse”: da lotta politica a rivolta sociale

Gli scontri di questo giorni sono frutto di problemi e tensioni che affondano nel passato e mai risolti. Sempre più grave il bilancio delle vittime: 20 morti in tre giorni, 46 dall’inizio delle manifestazioni. Il governo prosegue nella linea di intransigenza; prime divisioni fra gli oppositori. Fonte di AsiaNews: “il silenzio del re alimenta la confusione”.
Bangkok (AsiaNews) – In Thailandia “è in atto una vera e propria rivolta sociale” che va oltre la “lotta politica”. È quanto spiega una fonte di AsiaNews a Bangkok, che parla di “conflitti radicati nel passato e mai risolti”. Intanto non si ferma la spirale di violenza nella capitale, teatro da tre giorni di una guerriglia urbana fra esercito e manifestanti anti-governativi. Secondo fonti dell’Afp oggi vi sarebbero altri morti, che si aggiungono alle 16 vittime (oltre 140 i feriti) registrate nelle precedenti 24 ore.
 
Questa mattina nuovi scontri fra militari e sostenitori del partito di opposizione “rosso” United Front for Democracy against Dictatorship (UDD), vicino all’ex premier in esilio Thaksin Shinawatra. Fonti dell’Afp riferiscono di tre cadaveri, riversi per strada, trascinati via da un gruppo di cittadini. Il fotografo dell’agenzia francese aggiunge che “vi sarebbero altri due corpi” abbandonati, ma la notizia non trova al momento conferme. L’esercito ha individuato una “live firing zone” in cui è autorizzato a operare in uno stato di guerra. Il Centre for the Resolution of the Emergency Situation ha dato il via libera ai soldati per “sparare proiettili veri ad altezza d’uomo”.
 
L’offensiva dei militari è scattata nel tardo pomeriggio del 13 maggio scorso, allo scadere dell’ultimatum lanciato dal governo alle “camicie rosse”. L’esecutivo aveva proposto elezioni anticipate per il 14 novembre prossimo e lo scioglimento del Parlamento entro fine settembre. I leader della rivolta hanno chiesto – invano – la messa in stato di accusa del vice-premier, presunto responsabile delle violenze del 10 aprile. Un appello alla pace arriva dal segretario generale Onu Ban Ki-moon, che “incoraggia con forza [governo e camicie rosse] a ritornare al tavolo del dialogo”.
 
Intanto si fa sempre più grave il bilancio della crisi, divampata a metà marzo con le proteste di piazza dei manifestanti antigovernativi. In due mesi sono morte 46 persone, di cui una ventina negli ultimi tre giorni; oltre 1400 i feriti. L’ex premier in esilio Thaksin si è rivolto al governo perché riprenda i colloqui di pace. L’esecutivo intende proseguire nella linea dura e annuncia che “nei prossimi giorni la situazione tornerà alla normalità”. Sul fronte delle “camicie rosse” emergono le prime spaccature: una parte dei leader intende continuare a oltranza la lotta; un secondo fronte, di pari consistenza, auspica la fine delle violenze e il ritorno alla legalità. Kokaew Pikulthong parla di “divisione 50 e 50” e aggiunge: “fosse per me, preferirei fermarmi”. Un altro leader “rosso”, Kwanchai Praipana, annuncia “lotta a oltranza fino a che il governo non si assume le proprie responsabilità”.
 
Nel frattempo si fanno sempre più critiche le condizioni delll’ex ufficiale dell’esercito Khattiya Sawasdipol, soprannominato il “Comandante rosso”. Alleatosi con i manifestanti anti-governativi, è considerato il capo operativo dell’ala “militare” delle “camicie rosse” e portavoce della lotta a oltranza contro il governo. Le sue condizioni sono critiche e, secondo i medici, “potrebbe morire in qualsiasi momento”.
 
Fonti di AsiaNews in Thailandia spiegano che “ormai non è più uno scontro di tipo politico, ma di una vera e propria rivolta sociale”. I conflitti, le divisioni, le ingiustizie del passato “sono nodi che oggi vengono al pettine” perché “nessuno le ha mai affrontate in modo serio”. A questo si aggiunge “una interferenza culturale di personalità che hanno studiato all’estero” e che vogliono “proseguire la battaglia per un cambiamento radicale della società”.
 
L’attentato al generale, continua la fonte, è un “attacco mirato contro il leader dell’ala militare dei ribelli, che conosce le tecniche di guerra, ha curato la costruzione delle barricate” e una sua morte “ne indebolirebbe la resistenza”. Il teatro della rivolta, inoltre, è concentrato in una zona limitata di Bangkok, mentre il resto della capitale e il Paese è “sotto uno stretto controllo di polizia e militari. Per varcare i confini di una provincia – continua – è necessario superare i blocchi delle forze dell’ordine. Questo impedisce una diffusione a macchia d’olio della rivolta”.
 
La fonte di AsiaNews sottolinea infine “il silenzio di Re Bhumibol”, che non è mai interventuo in questi due mesi di crisi e “nessuno dei due fronti in lotta lo vuole coinvolgere. Questo silenzio, tuttavia, contribuisce ad alimentare la confusione”.(DS)
TAGs
Invia ad un amico
Visualizza per la stampa
CLOSE X
Vedi anche
Thaksin: le accuse di terrorismo del governo thai sono di natura politica
27/05/2010
Bangkok, migliaia in preghiera per la pace nel Paese
26/05/2010
Abhisit rilancia la “road map” per la pace. Fallito il modello di democrazia thai
21/05/2010
Bangkok: tre notti di coprifuoco, timori di nuove violenze
20/05/2010
Bangkok: resa delle “camicie rosse”. Morto un reporter italiano
19/05/2010


Iscriviti alle newsletter

Iscriviti alle newsletter di Asia News o modifica le tue preferenze

ISCRIVITI ORA
“L’Asia: ecco il nostro comune compito per il terzo millennio!” - Giovanni Paolo II, da “Alzatevi, andiamo”