02/10/2013, 00.00
CINA
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Bao Tong: I 64 anni della Repubblica popolare fondata sull'oppressione del popolo

di Bao Tong
L'analisi del grande dissidente in occasione della festa nazionale: "Il Partito ha creato un sistema di potere che impone alla popolazione tasse terribili - straniamento, inquinamento, corruzione e ingiustizia - solo per restare in carica. Ma un sistema del genere è destinato ad estinguersi".

Pechino (AsiaNews/Rfa) - Oggi [ieri ndt] è il primo ottobre. Sono passati 24 anni da quando i compositori del tema principale hanno iniziato a evitare ogni riferimento ai numeri 6 e 4 - numeri associati alla repressione militare del 4 giugno 1989. Ma oggi non si possono nascondere da questo riferimento, dato che è il 64mo anniversario del momento in cui hanno sequestrato il potere. C'era un tempo in cui i compositori del tema principale non negavano di aver sequestrato il potere. Se leggiamo l'articolo di Hu Qiaomu (l'uomo che scriveva i discorsi a Mao Zedong) pubblicato nel 1951 e titolato "Trent'anni di comunismo cinese", ce ne rendiamo conto con grande chiarezza.

Se torniamo a quel periodo, vediamo che non veniva fatto alcuno sforzo per evitare di parlare del sequestro del potere. Al contrario, se ne parlava con evidente felicità. Se avessero smesso di parlare di questo sequestro, dove avrebbero potuto trovare la grandezza, la gloria e la correttezza del loro comportamento? Più tardi nel tempo, questo concetto iniziò a implicare molte (troppe) cose; quindi venne rimpiazzato pian piano da un concetto misterioso, quello di "costruire la nazione". Sembrava che la popolazione cinese non avesse avuto alcuna nazionalità prima del 1949, come se il cambiamento del nome ufficiale del Paese in Repubblica popolare di Cina segnalasse il soggiogamento del popolo. Anche alcune delle persone più anziane vennero assimilate nel tempo. Io ero una di loro.

Ma il "1° ottobre" non era un evento storico unico. Tornando indietro al 1911, il vecchio regime imperiale era già stato colpito dalla rivoluzione sotto lo slogan dei "Tre principi del popolo" di Sun Yat-sen. Prima di questo momento, la Cina era stata caratterizzata dall'autoritarismo: l'imperatore era il Figlio del Cielo. Se eri cinese, allora eri suddito dell'imperatore e dovevi ubbidire ai suoi ordini. Dopo la rivoluzione del 1911, con l'eccezione del breve governo "imperiale" di Hongxian e di quello del signore della guerra Yuan Shikai, nessun politico serio avrebbe osato essere apertamente ostile alla repubblica o alla democrazia.

Trasformare i diritti dei cittadini in "eresia"

Le cose hanno iniziato a precipitare dopo la "liberazione" avvenuta l'1 ottobre del 1949. La nozione di "diritti dei cittadini" inizia a essere trattata come un'eresia. Sotto l'egida della "dittatura del proletariato" crebbe un'altra dittatura, come se questa fosse l'unica giusta e corretta. Una volta preso il potere, il Partito comunista cinese ha esercitato il proprio dominio su tutti gli strati della società, andando molto oltre tutto quello che i tiranni e i sovrani avevano fatto prima. Il popolo cinese "liberato" è stato costretto a obbedire al Partito, che ha iniziato a dominarlo.

Nel periodo fra il 1911 e il 1949, questo fenomeno vecchio-nuovo (o nuovo-vecchio) sarebbe apparso come una assurdità mostruosa. Ma dopo la "liberazione" è tornato in vita. Il cadavere del proletariato e la sua rivoluzione autocratica sono stati rianimati sotto la leadership del Partito comunista. Il potere in mano alla leadership è stato il bottino della vittoria, che ovviamente non è stato condiviso dal cadavere della rivoluzione o dalle masse proletarie. Le spoglie della vittorie sono appartenute - e appartengono - a coloro che hanno fatto la rivoluzione e ai loro discendenti; "non vanno condivise (come diceva Lenin) neppure per un momento (come ha aggiunto Mao)".

Il Partito comunista cinese ha dato libero sfogo al "bottino di guerra", ovvero la sua autorità, lanciando ondate su ondate di tormento senza precedenti [per il popolo]. Prima di tutto ha convinto i contadini a requisire con la violenza la terra dai latifondisti, per poi pretendere che la stessa terra appena espropriata fosse data allo Stato sotto forma di Comuni del Popolo. Hanno nazionalizzato le industrie private per poi darle a cricche potenti e gruppi di interessi, dividendo la maggioranza di questi e lanciando un'autarchica stabilizzazione dei prezzi che li hanno trasformati in una nuova forma di imprenditori socialisti.

Cambiare i nomi

Le cose sono andate avanti così per molto tempo. E i nomi che hanno dato alle cose sono sempre apparsi eccitanti. A volte chiamano le cose "rivoluzione", altre volte "riforma". Ma tutto fa parte di quel "socialismo" che nessuno è in grado di definire con chiarezza, come ha ammesso lo stesso Deng Xiaoping. Tutto secondo i canoni della verità assoluta, ovvero le "caratteristiche cinesi", come dimostrano gli insegnamenti di Mao, Deng e le "Tre rappresentatività" dell'ex presidente Jiang Zemin.

Nel 1927 la Cina era nel mezzo del periodo delle guerre fra bande e viveva sul ciglio di un precipizio, ma era la seconda economia al mondo dato che aveva la maggiore forza lavoro del pianeta. Sotto la mala gestione del Partito comunista, i risultati economici del Paese sono crollati avvicinandoci all'abisso e portando la nazione sull'orlo del collasso.

Questo modo di fare è andato avanti fino alla morte di Mao, quando alcune delle catene più opprimenti lanciate su chi produceva e su chi comprava sono state finalmente spezzate. Ma non senza una grande confusione e tanti problemi. Eppure non è stato facile per noi tornare a quel glorioso secondo posto nell'economia mondiale che occupavamo al tempo dei signori della guerra. Con una cosa buona cercavano di coprirne cento orribili.

Gli ultimi 64 anni sono stati un futile esercizio: sono stati il pagamento richiesto per avere leader di questo tipo. Il fatto che lo stato normale delle cose sia la "rivoluzione" è una testimonianza eloquente della "verità universale" secondo la quale il popolo cinese deve essere guidato dal Partito comunista.

Il disastro della giustizia

Ovviamente, pagare le nostre "tasse" non riguarda in alcun modo l'andare in giro a caso: nulla viene lasciato al caso. Persino la vita è divenuta una delle valute con cui si possono pagare queste tasse. Quante case sono state distrutte e quante persone sono morte in battaglia, durante le carestie, per motivi politici, per una giustizia senza diritto o per mano di chi usa la legge come una scusa per gestire male il diritto in maniera deliberata?

Anche l'alienazione è una valuta accettata nel pagamento delle tasse. Chiunque viva in Cina vive in un posto ostile ai valori universali. La "repubblica" è una nazione dove non avvengono elezioni. Le "economie di mercato" sono in realtà un'economia che dipende dalle operazioni coordinate dal Partito. Le opinioni possono venire solo dai portavoce del Partito, mentre l'educazione è una culla e un inferno usati solo per istruire i propri seguaci.

Ovviamente il popolo ha il compito di agire come strumento del Partito. La pietra di paragone con cui si separa la verità dalla bugia non è il fatto, ma l'interesse del Partito. Per non parlare della corruzione - presente in tutti gli ambiti sociali - e dell'inquinamento della natura (aria, fiumi e terreni): questi sono tutti metodi di pagamento delle tasse che generazione dopo generazione di cittadini devono pagare contro la loro volontà e senza il loro consenso per permettere a generazione dopo generazione di leader di continuare i propri esperimenti di laboratorio.

Questo è il "modello cinese" che ha richiesto 64 anni per essere costruito e che ha fatto sbarrare gli occhi a tutto il mondo. Il Partito comunista cinese avrà anche i suoi propri slogan interni per questa situazione - che possono essere "guardarsi in giro" o "imparare a curvare" - ma è il sistema che ha costruito la faccia che presenta al mondo.

Io non ho intenzione di sminuire la sua esistenza. Penso solo che un sistema che non tollera obiezioni è un sistema condannato all'estinzione. I progressi appartengono a quelle anime coraggiose che sono abbastanza ambiziose da cambiare anche il proprio modo di fare.

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