05/10/2021, 11.49
LIBANO
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Beirut: il patriarca Raï contro Hezbollah. Attesa per il ministro iraniano

di Fady Noun

Il capo della diplomazia di Teheran atteso domani nella capitale libanese. Una visita inaspettata, senza programma ufficiale o incontri, mentre il partito sciita continua gli attacchi alla sovranità libanese. Nel mirino del cardinale anche le “interferenze sul cammino della giustizia” nell’indagine relativa alla doppia esplosione al porto. 

Beirut (AsiaNews) - Il patriarca maronita, card. Beshara Raï, ha ancora una volta alzato i toni dello scontro contro Hezbollah. Il suo intervento è arrivato il 3 ottobre, a pochi giorni dalla visita senza preavviso del ministro iraniano degli Esteri Hossein Amir Abdollahian (nella foto), atteso domani a Beirut. Una mossa inaspettata, per la quale ancora ieri non vi era un programma ufficiale con gli incontri previsti. Un evento improvviso che, d’altro canto, si inserisce in un panorama politico caratterizzato da ripetuti attentati alla sovranità libanese da parte del partito sciita, negli ultimi tempi con l’importazione di carburante iraniano dietro un'iniziativa unilaterale, con l’ingresso in territorio libanese da valichi di frontiera clandestini e controllati dall’ala militare del partito stesso. 

Nell’omelia della messa domenicale, anche a costo di farsi dei nemici personali all’interno di Hezbollah, il porporato ha detto che “il Libano ha bisogno di liberarsi dei furbi e dei mentitori che sfruttano la bontà della gente con il loro discorsi al miele”. Tutto questo mentre, nella realtà, “si dedicano alla corruzione e si appropriano indebitamente di fondi pubblici mentre lo Stato crolla”. Il capo della Chiesa maronita ha quindi aggiunto: “Il Libano non può più sopportare che si continuino ad arrotondare gli angoli, che si cerchi di conciliare la legge con ciò che non riguarda il diritto, la sovranità con la subordinazione, l’assassino con la vittima”.

“Gli amici arabi e internazionali - ha insistito il patriarca Raï - stanno aspettando una politica chiara, lontana dalla detestabile doppiezza, per sostenere la ripresa economica e finanziaria del Paese. Non possiamo pretendere di preservare la sovranità libanese e lasciare aperti passaggi illegali, né lasciare posizioni strane, dannose per questa stessa sovranità, senza risposta o reazione. Non possiamo sostenere la legalità e tollerare la presenza di armi (illegali) e il disprezzo per le istituzioni attraverso la costituzione di un esercito dipendente da uno Stato straniero, per stessa ammissione di un alto funzionario di quello Stato”. 

Con il riferimento “all’ammissione”, il capo della Chiesa maronita si riferisce alle parole espresse qualche giorno fa da Gholam Ali Rachid, alto funzionario dei Pasdaran, il quale si è vantato che Teheran ha messo in piedi sei eserciti (fuori dal proprio territorio) a difesa dei propri interessi. Si tratta di Hezbollah (in Libano), di al-Hachd ach-chaabi (in Iraq), degli Houthi (nello Yemen), delle forze del regime di Bashar al-Assad (in Siria) e di Hamas e la Jihad islamica in Palestina.

Bisogna peraltro sottolineare che la visita del capo della diplomazia iraniana coincide con il rinnovo del disimpegno saudita in Libano, destinato a proseguire come dimostrato da una conversazione telefonica del 30 settembre scorso fra il presidente francese Emmanuel Macron e il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman. Secondo quanto riferito, l’uomo forte del regno ha informato il suo interlocutore che la posizione di Riyad nei confronti del Libano rimarrà la stessa fintanto che il Paese sarà subordinato a Hezbollah.

Sappiamo inoltre che la formazione del governo Mikati, dopo tredici mesi di blocco, è stata facilitata da un riavvicinamento franco-iraniano, esemplificato soprattutto dalla telefonata intercorsa il 5 settembre scorso fra il presidente francese Emmanuel Macron e l’omologo iraniano Ebrahim Raisi. In questo scenario attuale, la visita del ministro iraniano degli Esteri a Beirut solleva diverse questioni attorno alle posizioni che i funzionari libanesi intendono esprimere al cospetto dell’ospite. Nei termini della politica estera, ma anche e soprattutto riguardo l’importazione di carburante iraniano in Libano. Una vicenda che ha rapidamente gettato grande discredito sul gabinetto Mikati, per la mancanza di una reazione ufficiale ad eccezione di una dichiarazione di rito della leadership di potere e di una generica lamentela espressa dal primo ministro in una intervista alla Cnn. Nel colloquio con l’emittente americana, Nagib Mikati si è accontentato di dire che era “rattristato” per le violazioni della sovranità libanese e dall’importazione di combustibili da Teheran.

Domenica scorsa il patriarca maronita ha anche chiesto la fine delle interferenze della politica nell’indagine sulla doppia esplosione al porto di Beirut il 4 agosto 2020. Il riferimento è alla ben nota (e sospetta) visita di Wafic Safa, un alto funzionario della sicurezza di Hezbollah, al Palazzo di giustizia e, da lì, l’avvertimento lanciato attraverso alcuni giornalisti presenti a Bitar Tarek, giudice istruttore dell’inchiesta in corso sull’incidente, per dirgli che Hezbollah può “demolirlo” nel caso in cui intenda interrogare i vertici del partito sciita. Attorno a questo atto manifesto di ingerenza di Hezbollah nell’iter giudiziario, nessun funzionario ha osato aprire la bocca. “Le interferenze sul cammino della giustizia - ha avvertito il capo della Chiesa maronita - hanno sempre delle conseguenze dirette sulle posizioni dei Paesi amici verso il Libano e minano al contempo il prestigio della nostra giustizia”.

Va notato a questo proposito che la Corte d’appello civile di Beirut ha respinto di recente gli appelli per “legittimo sospetto” presentati dai parlamentari Nouhad Machnouk, Ali Hassan Khalil e Ghazi Zeaïter contro il giudice investigativo Tarek Bitar, responsabile dell’indagine. In seguito alla decisione il magistrato può dunque riprendere gli interrogatori, sospesi in precedenza in attesa del verdetto del tribunale.

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