14/05/2007, 00.00
UZBEKISTAN
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Carcere per i religiosi, ma c'è chi in Occidente pensa più al petrolio

Due anni di carcere al pastore pentecostale Serikbayev perché ha “insegnato religione” in una casa. In Uzbekistan prosegue la persecuzione contro religiosi e attivisti dei diritti umani. Ma nell’Ue c’è chi pensa di alleggerire le sanzioni prese dopo il massacro di Andijan, anche per poter accedere alle fonti energetiche.

Tashkent (AsiaNews/F18) – Il pastore pentecostale Salavat Serikbayev è stato condannato il 9 maggio a Nukus, capitale del Karakalpakstan, a due anni di carcere con pena sospesa, per avere “insegnato religione in modo illegale”. Serikbayev ora è a casa, ma può tornare in carcere se compie altre attività religiose “non autorizzate”. Intanto oggi l’Unione europea deve decidere se confermare le sanzioni contro l’Uzbekistan. Ieri gruppi di esiliati uzbeki hanno commemorato il massacro di Andijan.

L’agenzia Forum 18 dice che al pastore è anche vietato di andare all’estero nei due anni e che deve pagare come sanzione il 20% di qualsiasi salario percepisca. Alcuni poliziotti hanno dichiarato di averlo visto “insegnare religione” quando hanno fatto irruzione in una casa privata, anche se lui l’ha sempre negato. Per la sua attività religiosa è stato 4 mesi in carcere nel 1999 e da anni il mahalla (distretto) dove risiede ha privato la sua famiglia dell’assistenza sociale, anche sanitaria.

Nel Paese è reato qualsiasi attività religiosa non autorizzata dallo Stato, anche riunirsi in casa per pregare o insegnare religione. Ma solo l’islam e il cristianesimo russo-ortodosso ottengono con facilità il permesso, che nel Karakalpakstan è stato negato a tutte le altre religioni.

Intanto oggi l’Unione europea decide se mantenere le sanzioni assunte contro l’Uzbekistan dopo il massacro di Andijan del 13 maggio 2005, quando la polizia ha sparato sulla folla che protestava pacificamente uccidendo oltre mille persone secondo testimoni oculari (“solo” 187 morti, secondo il governo, che ha sempre rifiutato un’indagine indipendente sui fatti).

Lotte Leicht di Human Rigths Watch osserva che “da allora la situazione dei diritti umani in Uzbekistan è molto peggiorata”. “Il governo non ha collaborato  con un organismo internazionale di indagine” istituito per questo massacro e “ha lanciato una repressione senza precedenti su società civile, giornalisti e attivisti per i diritti umani”. Ad aprile le autorità hanno ordinato la chiusura dell’ufficio di Hrw a Tashkent.

Ieri, in alcune città europee, gruppi di esiliati uzbeki hanno ricordato l’episodio con dimostrazioni pubbliche. Il 12 maggio a Bruxelles hanno chiesto all’Ue di rinforzare le sanzioni contro l’Uzbekistan.

Ma diversi Paesi europei, tra cui la Germania, appaiono voler alleggerire le sanzioni e riprendere il dialogo sui diritti umani, come proposto di recente da Tashkent.

Analisti osservano che l’Occidente ha difficoltà a conciliare il rispetto dei diritti umani con la necessità di accedere all’energia e ai minerali dell’Asia centrale ed è preoccupato perché Cina e Russia hanno approfittato della situazione per rinsaldare i rapporti con l’Uzbekistan. (PB)

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