03/06/2020, 11.35
IRAQ
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Card Sako: dall’emergenza Covid-19 non solo cambi alla liturgia, ma più solidarietà

di Louis Raphael Sako*

Il patriarca caldeo interviene nella polemica sorta nel clero e fra i fedeli caldei in seguito ad un'intervista del card Sarah. Il prefetto del Culto Divino aveva criticato le messe in streaming in cui i sacerdoti guardano la telecamera, non Dio. Si tratta di cambiamenti “momentanei” che non devono “impressionare”. Il “pane e vino” corpo e sangue di Cristo restano il centro della celebrazione.

Baghdad (AsiaNews) - Vescovi e sacerdoti non devono “lasciarsi impressionare” da argomentazioni contrari ai “provvedimenti, che sono momentanei” adottati dalla Chiesa per contrastare la pandemia di nuovo coronavirus e che hanno determinato un cambiamento nelle funzioni. È quanto scrive il primate caldeo, il card. Louis Raphael Sako, in un messaggio ai fedeli, inviato anche ad AsiaNews , in cui approfondisce i contenuti di una intervista del card Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

Le parole del porporato africano hanno sollevato discussioni all’interno del clero caldeo, in particolare in alcuni passaggi critici delle attuali modalità di celebrazione. Fra queste le messe in streaming in cui il sacerdote guarda “la telecamera”, e “non Dio” e sulla comunione “take away” fra le mani, con il sacerdote munito di guanti e mascherina. Anche l’islam ha dovuto stravolgere riti secolari, ricorda il patriarca Sako, pure in momenti particolari come il Ramadan e la festa di Eid al-Fitr. La pandemia ha rafforzato “la solidarietà umana” e le messe diffuse in rete e sui social sono fonte di “consolazione” in mezzo alle paure.
Ecco, di seguito, il messaggio del patriarca Sako:

Ha avuto una vasta eco tra i nostri preti il testo in lingua araba dell’intervista attribuita al card Robert Sarah, prefetto della Congregazione del Culto Divino della chiesa cattolica, pubblicata nel sito Daily compass.

Non avendo potuto accertarmi del grado di certezza di tale intervista, e dato che si è diffusa tra il nostro clero causando una certa confusione, vorrei chiarire quanto segue:

  1. I cambiamenti avvenuti ora sono momentanei, imposti dalla diffusione della pandemia del coronavirus: sospensione della preghiera comunitaria e della messa a motivo delle misure di “confinamento domestico” e del “distanziamento sociale”. In queste situazioni le persone lavorano a casa con il computer, lo studente continua la studio a casa con il computer e il fedele prega in casa. Tali comportamenti sono comuni a tutte le religioni: le autorità islamiche hanno sospeso la preghiera comunitaria nelle moschee perfino nel mese di Ramadan e nella festa della fine del digiuno.
  2. La pandemia del coronavirus ha creato una situazione positiva di solidarietà umana, e la gente è pronta a combattere il dolore e le sue cause nella propria vita e nella vita della società. È quanto constatiamo nella dedizione dei medici, dei sacerdoti, dei volontari e del personale di servizio.
  3. La diffusione della messa tramite streaming (sorgente audio/video) o tramite TV nelle chiese è un mezzo che aiuta i fedeli alla partecipazione e li riempie di consolazione e di fiducia in mezzo alle loro paure. C’è rispetto per questa partecipazione: è quanto percepiamo dai commenti dei fedeli. Essi desiderano venire alle loro chiese parrocchiali e ricevere la santa comunione. Trovano in tale esperienza eccezionale un’occasione che li aiuta ad essere più vicini a Cristo e alla spirito del Vangelo. Questo cambiamento necessario nella crisi del coronavirus non ha nessuna relazione con il supermarket. Noi seguiamo i nostri sacerdoti e curiamo il collegamento con loro e la loro guida. 
  4. Nella cappella del patriarcato celebriamo la messa con quattro suore, due vescovi coadiutori, con un sacerdote e con me. In verità questa messa è il centro della nostra vita giornaliera, ne attendiamo con impazienza la celebrazione: essa ci riempie il cuore di fede, di fiducia e di gioia. Non guardiamo alla videocamera e allo schermo, ma miriamo agli elementi del pane e del vino che sono trasformati dallo Spirito Santo, tramite la nostra fede e la nostra preghiera, nel corpo e nel sangue di Cristo. E i fedeli che ci seguono tramite lo schermo pregano con devozione con noi, ripetono con noi le orazioni e i canti, e affermano ripetutamente che desiderano ricevere la comunione. È una spiritualità molto positiva, la Chiesa deve trarne vantaggio e deve rivedere il modo di celebrare i sacramenti. Nessuno nega che l’eucaristia è un dono di Dio per noi, ma trarre profitto da questo dono è legato a situazioni difficili imposte dalla pandemia del coronavirus. Queste situazioni hanno creato nei fedeli una vita orante!
  5. La presenza di Cristo è una presenza sacramentale, che si compie tramite la fede della chiesa e la potenza dello Spirito Santo, non è una presenza biologica.
  6. L’identità del sacerdote e la sua spiritualità non sono magie preconfezionate, ma sono fede e convinzione che maturano e crescono in maniera continua tramite la formazione permanente. Questo è il compito dei vescovi.
  7. Dare la comunione nella mano non è una novità, ma una tradizione antica nella chiesa: molti Padri ne parlano, come S. Efrem, e la maggioranza delle chiese ortodosse segue tale prassi. Certamente occorre rispettare il desiderio di chi chiede la comunione, ma ci sono provvedimenti preventivi che i sacerdoti devono osservare. Spiegare in modo superficiale tali provvedimenti non è audacia ed eroismo.

In base a questi elementi, prego i nostri vescovi e i nostri sacerdoti di non lasciarsi impressionare da argomentazioni contrarie a questi provvedimenti, che sono momentanei. La Chiesa, dopo la fine della pandemia del coronavirus, deve rivedere questi temi con fiducia, volontà e una visione chiara, per aiutare i fedeli a dirimere i dubbi, gli argomenti, per assimilarli, farli propri e vivere la propria fede nella vita quotidiana.

* Patriarca caldeo di Baghdad e presidente della Conferenza episcopale irakena

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