20/09/2010, 00.00
INDIA
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Card. Gracias: “Preghiamo per la pace ad Ayodhya”. Possibili tensioni fra indù e musulmani

di Nirmala Carvalho
Il 24 settembre, una corte di giustizia deve pronunciarsi sulla distruzione della moschea nell’Uttar Pradesh e sugli scontri che ne seguirono fra la comunità musulmana e quella indù. Il presidente della Conferenza episcopale cattolica invita tutti i fedeli a essere ponte di dialogo e tolleranza.

Mumbai (AsiaNews) – Il verdetto sulla moschea di Ayodhya “deve essere giusto, accettato da tutte le parti in causa e fonte di armonia interreligiosa. L’India ha una tradizione pluralista di pace e questa deve essere difesa a tutti i costi”. Lo dice ad AsiaNews il card. Oswald Gracias, presidente della Conferenza episcopale cattolica indiana, che ha invitato tutte le chiese del Paese a pregare in vista del pronunciamento della corte.

I giudici devono esprimersi sulla distruzione della moschea di Babar, ad Ayodhya nell’Uttar Pradesh, avvenuta nel 1992. Il 6 dicembre di 17 anni fa, circa 150mila militanti dell’organizzazione indù Sangh Parivar rasero al suolo il luogo di culto islamico. Dall’assalto scaturirono disordini in cui morirono oltre 2mila persone, per la stragrande maggioranza musulmani. Ora, di quei fatti vengono accusati i leader del Bjp, il maggior partito indiano di stampo nazionalista.

Il verdetto, spiega il cardinale, “potrebbe provocare delle violenze fra le comunità musulmane e indù, scontri che a loro volta causerebbero tensione e disordine sociale. Come leader spirituali del nostro Paese, abbiamo chiesto a tutti i fedeli di pregare per la nostra amata terra e in particolare per l’accettazione pacifica della sentenza. Temiamo infatti che qualcuno, per manifestare il proprio dissenso, possa ricorrere a metodi illegali”.

L’arcivescovo di Mumbai è il primo leader religioso a chiedere ai propri fedeli di pregare per Ayodhya, che dopo la distruzione divenne un tempio induista. Ma questo, racconta, “si spiega facilmente con la natura stessa dell’India, nazione profondamente spirituale. Qui i leader religiosi sono molto rispettati e ascoltati, fa parte della cultura e della vita indiana. Quindi è essenziale per noi guidare la popolazione contro la violenza, a favore di una vera fratellanza”.

Nel Paese, continua, “tutti gli indiani devono essere fratelli fra loro, applicando la reciprocità fra le fedi. Dobbiamo impegnarci affinché non si affermi soltanto il potere economico dell’India, ma anche la sua autorità spirituale e morale fra le nazioni. La Chiesa non è parte in questa causa, ma ha un ruolo da svolgere: essere ponte di comprensione, tolleranza e rispetto. Per questo dobbiamo usare la preghiera, l’arma più potente che abbiamo”.

Il verdetto, in conclusione, “non riguarda soltanto indù e musulmani, ma tutti noi. Come nella campagna contro il pastore che voleva bruciare il Corano negli Stati Uniti, dobbiamo continuare a lottare per la libertà religiosa e per il rispetto dei luoghi di culto, diritti fondamentali per il progresso e lo sviluppo. Essi fanno parte della nostra eredità culturale e sono protetti dalla nostra Costituzione: ma più di tutto, sono fondamento della dignità dell’uomo”.

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