22/11/2010, 00.00
VATICANO - CINA
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Card. Zen: In Cina non c’è libertà religiosa

di Card. Joseph Zen Zekiun
Assoluto controllo sulle comunità ufficiali; sofferenze delle comunità sotterranee; manipolazioni e corruzione sui vescovi, che rischiano di esprimere verso il papa solo un ossequio formale. I problemi della Chiesa in Cina provengono anche dai tentennamenti di parte cattolica. Si rischia di far scivolare tutto verso la schiavizzazione dei pastori e di dimenticare le indicazioni di Benedetto XVI nella sua Lettera ai fedeli della Chiesa in Cina. La relazione del card. Zen per i suoi confratelli cardinali e per il papa prima del Concistoro.
Città del Vaticano (AsiaNews) – In Cina c’è al massimo libertà di culto, ma il governo non ha cambiato la sua politica di controllo assoluto sulle religioni e sulla Chiesa cattolica, manipolando ordinazioni e corrompendo vescovi, anche quelli legittimati dal papa. È questo il triste bilancio presentato dal card. Joseph Zen ai suoi confratelli cardinali, nella giornata di confronto voluta dal papa per il 19 novembre scorso, prima dell’ultimo Concistoro. Nel testo che pubblichiamo integralmente, il vescovo emerito di Hong Kong sottolinea che vi sono tentennamenti anche nella politica vaticana, che rischiano di dare un’errata interpretazione alle indicazioni di Benedetto XVI, contenute nella sua Lettera ai cattolici della Cina. NB: le note sono a cura di AsiaNews.
 
Penso sia mio dovere, essendoci questa speciale opportunità, di informare i miei eminentissimi fratelli che in Cina non c’è ancora libertà religiosa. C’è in giro troppo ottimismo che non corrisponde alla realtà. Qualcuno non ha modo di conoscere la realtà; qualcuno chiude gli occhi davanti alla realtà; qualcuno intende la libertà religiosa in senso assai riduttivo.
 
Se andate a fare un giro in Cina (il che non raccomando, perché le vostre visite saranno manipolate e sfruttate a scopo di propaganda) vedreste belle chiese piene di fedeli che pregano e cantano, come in qualunque altra città del mondo cristiano. Ma la libertà religiosa non si riduce a libertà di culto.
 
C’è molto di più. Qualcuno protesterà. C’è chi ha scritto: “Pechino vuole i vescovi voluti dal Papa”. Fosse vero! La realtà che c’è un “tiro alla fune”, in cui non so chi abbia ceduto di più.
 
Che di recente non vi siano state ordinazioni episcopali illecite è certamente un bene[1]. Ma quando il governo cinese fa la voce grossa e le nostre possibilità di indagini sono così limitate, con in più la paura di nuove tensioni, c’è il vero rischio che si approvino dei giovani vescovi non idonei che regneranno per decenni.
 
Mi domando: perché non si è ancora arrivati a un accordo che garantisca l’iniziativa del papa nello scegliere i vescovi, pur ammettendo uno spazio al parere del governo cinese? Non so come stiano andando le trattative fra le due parti, perché non siamo [fra gli] addetti ai lavori e non ci è dato sapere niente. Ma fra gli esperti che seguono da vicino le vicende, l’impressione generale è che da parte “nostra” vi è una strategia di compromesso, se non ad oltranza, almeno di preponderanza.
Dall’altra parte, invece, non si vede una minima intenzione di cambiare. I comunisti cinesi sono sempre rimasti con la politica religiosa di assoluto controllo.
Da noi tutti sanno che i comunisti schiacciano chi si mostra debole, mentre davanti alla fermezza, qualche volta possono anche cambiare l’attitudine.
 
C’è stata una Lettera del papa alla Chiesa in Cina, già più di tre anni fa, un capolavoro di equilibrio fra la chiarezza della verità e la magnanimità per un dialogo[2]. Purtroppo penso di dover dire che [essa] non è stata presa sul serio da tutti.
C’è chi si è permesso di esprimersi in modo assai diverso (v. le cosiddette “Note esplicative” che accompagnavano la pubblicazione della Lettera); c’è chi le dà un’interpretazione distorta (p. Jeroome Heyndrickx, cicm), citando espressioni fuori del contesto.
Questa interpretazione dice che ormai tutti quelli della comunità clandestina devono venire all’aperto [= registrarsi presso il governo]. Ma il papa non ha detto questo. Ha detto, sì, che la condizione clandestina non è la normalità, ma spiega anche che chi si sente forzato ad andare in clandestinità è per non sottomettersi ad una struttura illecita.
Il Santo Padre ha detto, sì, che i singoli vescovi possono giudicare se accettare o chiedere il riconoscimento pubblico del governo e lavorare all’aperto, ma non senza averli premoniti del pericolo che purtroppo le autorità “quasi sempre” (questa particella è scomparsa nella traduzione cinese curata dalla Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli) avrebbero esigito condizioni inaccettabili ad una coscienza cattolica.
 
Questa interpretazione distorta – ma che ovviamente ha trovato consenziente (nella Curia) chi ha la diretta responsabilità per la Chiesa in Cina – ha creato una grande confusione e causato dolorose divisioni in seno alle comunità clandestine.
 
Questa interpretazione distorta è stata sconfessata solo dopo due anni in due note nel Compendio della Lettera papale, curato dall’Holy Spirit Study Centre di Hong Kong ed approvato dal comitato permanente della Commissione per la Chiesa in Cina[3]. In quelle note si chiarisce che la riconciliazione raccomandata dal Santo Padre deve trattarsi di un riavvicinamento dei cuori tra le due comunità, ma una unificazione (intesa come “merger”, come “travaso”) non è ancora possibile data la immutata politica del governo.
 
Ma anche dopo questa chiarificazione, l’operato di chi ha la mano sul manico non sembra abbia cambiato direzione, come si può constatare nei tragici fatti di Baoding, di cui l’ultimo atto è stato l’insediamento del povero mons. Francesco An, un atto seriamente ambiguo, ma su cui vi è silenzio – dal 7 agosto fino ad oggi - che lascia disorientata la comunità dei fedeli, non solo nella parte clandestina, non solo a Baoding, ma in tutta la Cina[4].
 
La povera comunità clandestina, che è certamente la potior [più grande] della nostra Chiesa in Cina, si sente oggi frustrata. Mentre trova molte parole di incoraggiamento nella Lettera del Santo Padre, si vede d’altra parte trattata come fastidiosa, ingombrante, di disturbo. È chiaro che qualcuno vuol vederla scomparire e assorbita in quella ufficiale, cioè sotto lo stesso stretto controllo del governo (così ci sarà pace!?).
 
Ma come si trova la comunità “ufficiale”? Si sa che in essa quasi tutti i vescovi sono legittimi o legittimati. Ma il controllo asfissiante e umiliante da parte di organismi che non sono della Chiesa – Associazione patriottica e Ufficio affari religiosi – non è per niente cambiato.
 
Quando il Santo Padre riconosce quei vescovi senza esigere che essi si distacchino subito da quella struttura illecita, è ovviamente nella speranza che essi lavorino dal di dentro di quella struttura per liberarsene, perché tale struttura non è compatibile con la natura della Chiesa. Ma dopo tanti anni cosa vediamo? Pochi vescovi hanno vissuto all’altezza di tale speranza. Molti hanno cercato di sopravvivere comunque; non pochi, purtroppo, non hanno posto atti coerenti col loro stato di comunione col papa. Qualcuno li descrive così: “Viaggiano felici sulla carrozza della Chiesa indipendente e si accontentano di gridare ogni tanto: Viva il papa!”.
Il governo che usava solo minacce e castighi ora ha migliorato i suoi metodi di persecuzione: soldi (regali, automobili, abbellimento dell’episcopio) ed onori (membri del Congresso del popolo, o dell’organo politico consultivo a diversi livelli, con riunioni, pranzi, cene e quel che segue).
 
Qual è la strategia da parte “nostra”? Temo che sovente è una falsa compassione che lascia i fratelli deboli a scivolare sempre più in giù e diventare sempre più schiavizzati. Le scomuniche comminate vengono “dimenticate” alla chetichella; alla domanda: “possiamo andare alla celebrazione del 50mo delle prime ordinazioni illecite?” si risponde: “Fate il possibile per non andarci” (e naturalmente ci andarono quasi tutti).
Dopo lunga discussione nella Commissione per la Chiesa in Cina si decise di mandare un ordine chiaro ai vescovi di non partecipare alla progettata cosiddetta “Assemblea dei rappresentanti della Chiesa in Cina”, ma qualcuno dice ancora: “comprendiamo le difficoltà dei vescovi a non andarci”.
Davanti a questi messaggi contrastanti il governo sa di poter ignorare la Lettera del papa impunemente.
 
Cari fratelli, suppongo che siate informati degli ultimi fatti: stanno tentando di nuovo di fare un’ordinazione episcopale senza mandato pontificio[5]. Per questo hanno sequestrato dei vescovi, messo pressione su altri: sono gravi offese alla libertà religiosa e alla dignità personale. Apprezzo la dichiarazione tempestiva, precisa e dignitosa della Segreteria di Stato. Tra l’altro c’è motivo di sospettare che tali tentativi non vengono neanche dall’alto, ma da quelli che in tutti questi anni hanno guadagnato posizioni di potere e vantaggi e non vogliono che le cose cambino.
 
Preghiamo la Madonna, Aiuto dei cristiani, perché apra gli occhi dei supremi dirigenti della nostra nazione, perché fermino queste malvagie e vergognose manovre e si adoperino per riconoscere ai nostri fratelli la vera e piena libertà religiosa, la quale tornerà pure ad onore della nostra patria.
 
Preghiamo per un raddrizzamento della strategia da parte “nostra”, perché si adegui sinceramente alla direzione indicata dalla Lettera del Santo Padre. Speriamo che non sia troppo tardi per una buona sterzata.
 
 
 
 
[1] La relazione è avvenuta il 19 novembre scorso, quando non era ancora avvenuta l’ordinazione illecita di Chengde (v. AsiaNews.it, 20/11/2010 Chengde: otto vescovi uniti al papa partecipano all’ordinazione illecita).
[2] V. dossier di AsiaNews.it, Lettera del Papa alla Chiesa in Cina
[4] Cfr.: AsiaNews.it, 29/10/2009 CINA – VATICANO Vescovo clandestino dell’Hebei diventa membro dell’Associazione patriottica e altri articoli collegati.
[5] V. nota 1.
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