06/09/2010, 00.00
ASIA - VATICANO
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Chiesa di Corea, protagonista del Congresso dei laici cattolici

di Bernardo Cervellera
Ex manager, direttori di giornali, impiegati hanno sacrificato le loro ferie per organizzare il Congresso e servire i partecipanti. Il card. Cheong sottolinea il valore della Chiesa coreana, minoranza molto rispettata nel Paese. Il culto dei martiri e l’evangelizzazione caratteristiche della missione nel Terzo millennio in Asia.
Seoul (AsiaNews) – Al Congresso dei laici cattolici in Asia, conclusosi ieri, è emersa potente la testimonianza proprio dei laici coreani. Non solo quella grandissima del prof. Thomas Han, ormai nominato nuovo ambasciatore del suo Paese presso la Santa Sede, che ha voluto con tutte le forze questo Congresso ed è stato il tessitore di tutti gli incontri. Le giornate si sono svolte e hanno avuto successo grazie all’ impegno gratuito e infaticabile di decine di laici volontari che hanno gestito l’organizzazione con professionalità e devozione.
 
Kim, un manager dell’acciaio, ormai in pensione, ha dedicato tutta la settimana agli spostamenti dei 400 rappresentanti nelle visite al santuario dei martiri, quelle turistiche e negli spostamenti da e per l’aeroporto; la direttrice di “Pace”, uno dei giornali cattolici, si è presa il compito di organizzare la sala stampa, non solo nei rapporti coi giornalisti, ma anche pulendo la sala, raccogliendo i rifiuti e preoccupandosi del funzionamento dell’aria condizionata, per lenire il caldo e l’umidità quasi tropicali.
 
Per lavorare al Congresso, molti di loro hanno sacrificato le ferie, che in Corea sono di tre o quattro giorni all’anno. Membri del Focolare e del gruppo neocatecumenale si sono preoccupati delle traduzioni simultanee degli interventi in italiano, inglese e coreano; Stella, Stefano e Philomenus, insieme ad altri giornalisti, hanno coperto gli eventi col servizio fotografico e redazionale. Giovani delle parrocchie di Seoul hanno a turno offerto il servizio dei canti nella liturgia in cattedrale e nella sala degli incontri.
 
E poi vi è la schiera di signore, madri di famiglia, casalinghe o impiegate nel commercio, che con dedizione tutta orientale sono state pronte ad ogni servizio - caffè, pulizia, addobbi,.. - suscitando la gratitudine di tutti i partecipanti.
 
Alla messa conclusiva di ieri, nella cattedrale di Myongdong, piena all’inverosimile, hanno partecipato molti fedeli coreani affianco ai rappresentanti del Congresso. Il card. Nicholas Cheong Jinsuk, che ha presieduto la celebrazione, ha sottolineato l’atmosfera cattolica, universale vissuta in questi giorni. “Si può dire -  ha commentato nell’omelia – che oggi qui è radunata l’intera Chiesa dell’Asia, in comunione effettiva e affettiva con il nostro santo Padre, attraverso il Pontificio consiglio per i laici”.
 
Il card. Cheong ha messo in luce su quali pilastri si fonda la vita della Chiesa coreana, che negli ultimi 30 anni è cresciuta del 66%, giungendo a circa 6 milioni di fedeli (il 10% della popolazione).
È soprattutto l’instancabile “servizio di carità alle persone nel bisogno e la netta e decisa affermazione della Chiesa nei campi della giustizia, difendendo i diritti dei lavoratori sotto i regimi autoritari” ad aver proiettato la comunità cristiana “ al centro della vita nazionale”.
 
Tale impegno pesca nel culto dei martiri, da cui la Chiesa coreana è sorta. In circa 100 anni, almeno 10 mila cattolici coreani sono stati uccisi per la fede. La devozione verso di loro è tale che il mese di settembre è dedicato tutto alla memoria dei martiri. Un fatto importante che va sottolineato: fra i martiri coreani vi sono anche missionari francesi. Senza complessi di inferiorità o remore di colonialismo o dipendenza dall’estero, i cattolici coreani esaltano il sacrificio dei loro connazionali e dei missionari stranieri che hanno portato loro la fede. A conferma di questa unità fra aspetti nazionali e universali (segno di vero cattolicesimo) vi è un altro fatto: nelle liturgie coreane si cantano sia canti di Bach, Mozart, Beethoven, sia canti della tradizione locale: tutte appartengono al loro cuore.
 
Per la Chiesa coreana, essere minoranza – come è per tutte le Chiese dell’Asia – non è qualcosa che scoraggia, ma rende le comunità simili a quelle del primo cristianesimo: “Essere minoranza – ha detto il card. Cheong – è una caratteristica dei profeti” e non deve portare ad essere “pessimisti o inattivi”.
 
“L’evangelizzazione dell’Asia – ha concluso -  non è una ‘missione impossibile’.. La Chiesa dell’Asia ha profondo bisogno di nuovi apostoli, ben istruiti sulla dottrina sociale della Chiesa, capaci di esprimere la loro missione nel dialogo e nell’evangelizzazione. Un nuovo millennio, una grande primavera dell’evangelizzazione è sorta in Asia. È tempo per i nuovi apostoli di agire come testimoni di Cristo, senza paura, consacrando l’Asia come continente della speranza per il mondo”.
 
Foto: P. Him Lee
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