03/01/2014, 00.00
MALAYSIA
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Controversia “Allah”, requisite 300 Bibbie. Sacerdote malaysiano: illecito e anti-costituzionale

Nello Stato di Selangor le autorità compiono un raid in un centro cristiano e sequestrano centinaia di copie del testo sacro. P. Lawrence parla di gesto “sbagliato” e contrario ai principi dello Stato. Fonti di AsiaNews: pressioni per “bloccare il ricorso dei cattolici” in tribunale in un quadro di “riduzione progressiva della libertà religiosa”.

Kuala Lumpur (AsiaNews) - Il raid che ha portato al sequestro di centinaia di copie della Bibbia e all'arresto di due leader cristiani, poi rilasciati su cauzione, nello Stato di Selangor è un atto "profondamente sbagliato e illecito". I vertici del governo locale "non hanno l'autorità per recarsi in un centro cristiano" e portare a termine atti che appaiono "in evidente contrasto con la Costituzione" della Malaysia. Non usa mezzi termini p. Lawrence Andrew, direttore del giornale cattolico Herald Malaysia, per condannare l'abuso verso la minoranza religiosa, già alle prese con la controversia relativa all'uso di "Allah" per definire il Dio cristiano tuttora pendente in tribunale. Interpellato da AsiaNews, il sacerdote aggiunge che secondo la Carta fondamentale dello Stato "ogni religione è libera di praticare il proprio culto e di gestire i propri affari" senza dover subire "interferenze" esterne, come è avvenuto ieri. Ed è una ulteriore conferma che la vicenda "Allah" continua a "creare problemi" nella nazione. 

Ieri le autorità malaysiane hanno sequestrato 321 bibbie del gruppo cristiano Bible Society of Malaysia (BSM) di Selangor, perché avrebbe usato il nome Allah per riferirsi al proprio Dio. Il raid è conseguenza diretta della decisione del tribunale, lo scorso ottobre, di assegnare ad uso "esclusivo" dei musulmani - la maggior parte dei quali di etnia Malay - la parola Allah, vietandolo al contempo alla comunità cristiana. La vertenza è tuttora pendente di fronte al Tribunale federale; una nuova udienza è in programma il prossimo 24 febbraio. I giudici dovranno decidere se accogliere il ricorso da parte della Chiesa cattolica e procedere in appello.

Il ministro della Difesa Datuk Seri Hishammuddin Tun Hussein intima di mettere fine alle polemiche (e ai processi), in nome di un "bene" superiore del Paese. Il rifiuto [dei cristiani, ndr] di accettare le decisioni dei giudici è fonte di "odio e divisione" e potrebbe fomentare "ulteriori scontri". Minacce rilanciate dai vertici dei movimenti islamici, che intimano ai cristiani di rispettare la richiesta "altrimenti potrebbero divampare presto rivolte". Inoltre, esponenti dello United Malays National Organisation (Umno) minacciano di attuare proteste diffuse in tutte le chiese dello Stato durante le funzioni domenicali, se dovesse continuare "l'uso illegittimo" della parola Allah. 

Fonti di AsiaNews esperte di politica interna, dietro anonimato, rivelano che dietro la linea oltranzista del premier e del governo vi possono essere interessi politici, che mirano a conquistare il consenso fra le fasce estremiste della popolazione. Una scelta dettata anche dal calo di consensi legato al taglio dei sussidi e all'aumento di benzina, corrente elettrica e zucchero. "Si sta verificando oggi - rivela la fonte - quanto già avvenuto nel 2010, quando si sono verificati attacchi e violenze contro chiese e luoghi di culto cristiani. Anche allora, come oggi, dietro agli attacchi vi sono gli uomini di Umno, che vogliono influire sull'esito del ricorso in tribunale. Fomentano disordini, per dimostrare che è necessario archiviare la controversia e mettere tutto a tacere, negando al fronte cattolico la possibilità di appello". L'analista conferma infine che "vi è una riduzione progressiva della libertà religiosa" in Malaysia.

I raid anti-cristiani di questi giorni sono originati dalla controversa sentenza della Corte di appello dell'ottobre scorso, che impedisce al settimanale cattolico The Herald di usare la parola "Allah" per definire il Dio cristiano. All'indomani della sentenza, alcuni funzionari del ministero degli Interni hanno bloccato 2mila copie della rivista dell'arcidiocesi di Kuala Lumpur all'aeroporto di Kota Kinabalu, nello Stato di Sabah. Il sequestro era "giustificato" dalla necessità di verificare se la pubblicazione fosse "conforme" al dispositivo emesso dai magistrati e "non vi fosse un uso illegittimo della parola Allah".

La vicenda è divampata in tutta la sua portata nel 2008, quando il governo ha minacciato di revocare il permesso di pubblicazione all'Herald Malaysia, il più importante giornale cattolico. In risposta, i vertici della Chiesa hanno citato in giudizio l'esecutivo per violazione dei diritti costituzionali. Nel 2009 la decisione del Tribunale di primo grado (Alta corte) dà ragione ai cattolici. La sentenza semina shock e ira fra i musulmani, che considerano la parola di pertinenza esclusiva dell'islam. Nel Paese si scatena un'ondata di violenze, con attacchi mirati contro chiese e luoghi di culto cristiani. Per arginare la deriva estremista, il governo decide di ricorrere in appello. In Malaysia, nazione di oltre 28 milioni di abitanti in larga maggioranza musulmani (60%), i cristiani sono la terza confessione religiosa (dietro ai buddisti) con un numero di fedeli superiore ai 2,6 milioni; la pubblicazione di un dizionario latino-malese vecchio di 400 anni dimostra come, sin dall'inizio, il termine "Allah" era usato per definire Dio nella Bibbia in lingua locale

 

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