11/03/2016, 10.17
INDIA
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Coordinatore don Bosco India: Tra gli studenti delle nostre 400 scuole, anche l’ex presidente della Lok Sabha

P. M C George Menamparampil parla del lavoro degli educatori salesiani per salvare i bambini dalla strada, dal lavoro minorile, dai matrimoni precoci. Tra coloro che hanno studiato negli istituti don Bosco anche quattro ministri federali dell’attuale governo nazionalista indù. “Senza il nostro aiuto, gli alunni poveri e tribali non sarebbero mai diventati quello che sono”. Il lavoro ha un unico obiettivo: “Essere messaggeri della misericordia di Dio”.

Roma (AsiaNews) – Oltre 400 istituti tra scuole, università, centri vocazionali e di formazione tecnica; 196mila alunni recuperati dalla strada ed educati al lavoro negli ultimi tre anni, di cui il 78% trova un impiego stabile; centinaia di bambine salvate dai matrimoni precoci e da un destino di schiavitù domestica; quattro ministri dell’attuale governo federale e l’ex presidente della Lok Sabha (Camera bassa) tra coloro che si sono formati nelle scuole di don Bosco. Sono alcuni dei primati del lavoro educativo dei salesiani. Li riferisce ad AsiaNews p. M C George Menamparampil, coordinatore nazionale di don Bosco India, intervistato a margine del simposio “Voci di Fede” organizzato dalla Fidel Götz Foundation con il Jesuit Refugee Service in Vaticano, in occasione della Giornata mondiale della donna. Il sacerdote parla dell’importanza dell’educazione cattolica in India, focalizzata in particolare sui bambini poveri e tribali, “che senza di noi non avrebbero mai avuto un’occasione per migliorare la propria vita”. E ai radicali indù che accusano la comunità cristiana di conversioni forzate con la promessa di denaro e altri beni, p. Menamparampil risponde: “Non ci interessa convertire per un pacco di riso. Il nostro lavoro è diffondere il messaggio di Cristo, siamo strumenti della misericordia di Dio. Il nostro unico scopo è formare esseri umani”.

Il sacerdote è nato in Kerala, ma negli ultimi 48 anni ha dedicato la propria vita al servizio delle persone svantaggiate delle comunità tribali presenti nell’area nord-orientale del Paese. P. George lavora da sette anni nella direzione nazionale degli istituti gestiti dai sacerdoti e dalle suore di don Bosco. La rete scolastica è presente dal 1996 e comprende oltre 400 scuole su tutto il territorio, concentrate soprattutto nelle aree povere e rurali.

Gli operatori di don Bosco operano in 87 città indiane e nella sola Calcutta gestiscono 29 centri, 25 per i maschi e quattro per le femmine. “I centri – continua – accolgono ragazzi dai 16 ai 18 anni che non hanno avuto un’istruzione e ormai sono considerati troppo ‘vecchi’ per la formazione accademica. Invece da noi ricevono un training professionale di tre o sei mesi, in base alle loro attitudini. Dopo il corso procuriamo loro dei colloqui con le aziende. Negli ultimi tre anni abbiamo formato 196mila giovani con questo metodo. Li abbiamo accolti quando erano al di sotto della soglia di povertà e ora il 78% di loro ha trovato lavoro”.

Questo programma prende il nome di “Sviluppo della capacità” ed è co-finanziato dal ministero dello Sviluppo rurale. Si fonda su una doppia partnership: “Da una parte gli accordi con il governo e dall’altra con il settore che può assorbire questa manodopera, come gli istituti tecnici o le aziende”.

Accanto all’importante lavoro con le donne e i giovani, dice p. Menamparampil, “la parte più grande e prioritaria del servizio missionario è a favore dei poveri. Il gruppo-target del nostro lavoro sono i bambini di strada e il lavoro minorile. Essi spesso abbandonano la scuola per aiutare le famiglie sommerse di debiti con le banche”. Quando un individuo chiede un prestito ma poi non riesce a restituirlo, spiega, “gli interessi aumentano e le banche requisiscono ogni bene. A quel punto alla famiglia non rimane che mandare nei campi anche i bambini. È illegale, ma avviene”.

È quanto accaduto con P. A. Sangma, ex presidente della Lok Sabha (la Camera bassa), morto la scorsa settimana: “Egli proveniva da una famiglia povera tribale. Il padre lo mandava a fare la guardia ai bufali. Ma un sacerdote lo ha convinto a far studiare il figlio”. Il ragazzo ha ricevuto un’istruzione nelle scuole salesiane, in modo del tutto gratuito, e ha fatto carriera “perché era intelligente e ha dimostrato le sue capacità. Il suo caso, e tanti altri come lui, è quello che dà significato alla nostra vita, perchè egli senza il nostro aiuto non avrebbe mai avuto l’opportunità di cambiare il suo destino già segnato dalla povertà”.

“Questo è quello che facciamo – prosegue – applicando il principio educativo di don Bosco: raccogliamo bambini poveri, riconosciamo le loro abilità e le incanaliamo in un percorso formativo adeguato. In questo modo possiamo fare la differenza per la loro vita”. “E l’anno scorso si sono laureati otto bambini raccolti dalla strada”, afferma con orgoglio.

P. Menamparampil riferisce inoltre che le scuole di don Bosco hanno formato centinaia di ingegneri, medici, attori e rappresentanti politici nel corso degli anni, tra cui anche quattro ministri federali dell’attuale governo del partito nazionalista indù Bjp (Bharatiya Janata Party): Smriti Zubin Irani, ministro per lo Sviluppo delle risorse umane; Piyush Goyal, ministro per l’Energia, il carbone e le fonti rinnovabili; Sarbananda Sonowal, ministro per i Giovani e lo sport; ​Babul Supriyo, ministro per lo Sviluppo urbano, l’edilizia abitativa e la riduzione della povertà.

P. Menamparampil sottolinea come in linea generale la rete scolastica di don Bosco “goda di un buon sostegno da parte della comunità in cui risiede. Anzi, in certe zone dell’India il 98-99% delle classi è composto da alunni di fede indù e musulmana. I cristiani sono davvero pochi e i ragazzi vivono tutti insieme in armonia. In tutti gli istituti abbiamo un luogo dedicato alla lettura del Corano, della Bibbia e della Bhagavadgita, gli studenti possono leggere quello che desiderano senza distinzioni”.

L’India è un Paese a maggioranza indù, conclude, “e in molti Stati le conversioni sono vietate. Chi converte con la forza per ignoranza o con l’offerta di qualche ricompensa fa qualcosa di illegale. Cosa del tutto diversa è la conversione sincera di un adulto”. A chi accusa i cristiani di praticare conversioni forzate, il sacerdote risponde con la propria esperienza: “Qualche anno fa è venuto da me un uomo, in rappresentanza di 16 famiglie che volevano convertirsi. L’uomo mi ha detto che ponevano una condizione per la conversione: dovevo donare loro del riso. Io gli ho risposto: ‘Siete persone affamate, il riso ve lo offro volentieri, ma non voglio più vedervi per almeno due anni’. La mia religione non è un imbroglio. Il nostro lavoro, sacrificio, servizio, riflettono l’amore che Dio ci ha donato. Noi serviamo i poveri, i bambini, le persone svantaggiate, come forma di devozione al Signore. Diciamo loro che esiste la speranza, perché essi possono anche essere abbandonati dalla famiglia, dalla società, dallo Stato, ma non saranno mai abbandonati da Dio. Attraverso il nostro servizio, noi siamo l’esempio della misericordia di Dio”.

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