03/08/2015, 00.00
INDIA
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Coppia cristiana uccisa a Kandhamal: “Chiara colpevolezza della polizia”

di Nirmala Carvalho
È quanto emerge dai primi rapporti della squadra d’inchiesta, ricevuti da AsiaNews. Le forze dell’ordine parlano di “incidente”, ma i testimoni confermano l’omicidio deliberato. Forse un tentativo di stupro finito male.

Mumbai (AsiaNews) – Un chiaro omicidio di due cristiani innocenti da parte delle forze di sicurezza del Kandhamal. È quanto dichiara la squadra d’inchiesta incaricata di indagare sulla morte di Dubeswar Nayak e sua moglie Bhubudi, uccisi il 26 luglio scorso nei pressi del villaggio di Pangalpadar, dove vivevano. AsiaNews ha ricevuto i primi rapporti stilati dal team d’inchiesta, che si è recato sul posto il 30 luglio. Le testimonianze raccolte contraddicono la versione data dalle autorità, che hanno parlato di un “incidente”, frutto di un’operazione anti-maoisti.

Pangalpadar si trova in una zona remota di Kotagada block, nel distretto di Kandhamal. Il centro è talmente sperduto da non avere nemmeno una strada principale che lo colleghi alla sede principale del governo locale. Delle 100 famiglie che vivono lì, il 75% è costituito da tribali di etnia Kondh, il restante da dalit (“fuoricasta”). La maggioranza lavora come operai, ma molti – soprattutto i più giovani – sono emigrati altrove per impieghi meglio retribuiti. C’è una scuola che arriva fino alla 5° classe e scarso accesso a servizi medici ed elettrici. In pochi possiedono telefoni cellulari, e per usarli sono costretti a raggiungere la cima delle colline, attraversando le foreste lì intorno, per raggiungere il segnale.

È proprio per chiamare i loro familiari che il 26 luglio scorso, intorno alle 15, cinque persone si sono dirette sulla collina di Dudimaha, tra i villaggi Pangalpadar e Adipadar. Si tratta di Sukant Chalanseth (48 anni), Bineswar Chalanseth (40), Philimina Chalanseth (38), Dubeswar Nayak (detto Duba, 45 anni) e Bhubudi (detta Budi, 41).

Secondo quanto raccontato da Sukant e Bineswar – i principali testimoni oculari – dopo aver finito le loro telefonate, Bineswar ha chiamato Duba e la moglie per tornare al villaggio. La coppia ha detto di non aver finito, e che sarebbe rientrata più tardi. Sulla strada di casa, all’improvviso i primi tre sono stati bloccati da un gruppo di forze di sicurezza, identificati come membri della Central Reserve Police Force (Crpf), la più grande forza paramilitare dell’India. Puntando contro di loro le pistole, gli agenti hanno chiesto i loro nomi e cosa ci facevano nella foresta.

Sukant e Bineswar hanno spiegato di aver telefonato ai loro parenti e che sulla collina c’era ancora una loro coppia di amici, che sarebbe rientrata più tardi. Le forze dell’ordine non hanno fatto domande a Philimina, e li hanno lasciati andare. Circa un’ora dopo, intorno alle 17, i tre e altri membri del villaggio hanno sentito rumori di spari, provenienti dalla stessa zona della foresta dove si trovavano prima.

La comunità ha discusso della possibilità di andare a cercare la coppia di amici, ma per paura ha deciso di aspettare l’indomani. Quella notte Duba e Budi non hanno fatto ritorno nella loro casa.

Come raccontato da Lahasa Rupamajhi, leader del villaggio, la mattina seguente (il 27 luglio) la comunità è andata alla ricerca della coppia. Sulla collina, dove era stata vista l’ultima volta, hanno trovato macchie di sangue e il vestito della donna. Contattato e informato della situazione l’ispettore in carico di Kotagada, l’ufficiale ha detto loro di raccogliere da soli le prove trovate e di portarle alla stazione di polizia. Gli abitanti si sono rifiutati.

Dopo essersi consultati con il capo del consiglio del villaggio, Lahasa, Sukant e Bineswar – insieme a un gruppetto di persone – sono andati alla stazione di polizia di Kotagada e hanno sporto denuncia. Tuttavia, l’ispettore in carico si è rifiutato di accettare la denuncia, sostenendo che il caso dovesse essere gestito da un’autorità più alta della sua. A quel punto, la comunità ha inscenato una protesta fuori dalla stazione di polizia, chiedendo che i corpi delle due vittime fossero restituiti ai figli.

Dato il silenzio delle forze dell’ordine, il giorno seguente la comunità ha bloccato una strada: dopo 36 ore di protesta, il pomeriggio del 28 gli agenti hanno consegnato i corpi ai figli delle vittime, promesso un risarcimento di 200mila rupie, e donato subito 20mila rupie per le spese funerarie.

La coppia deceduta aveva sei figli, tre femmine (Junusi, la maggiore, 27 anni; Minu, 22; Eliseba, la più piccola, 11) e tre maschi (Rahul, 25; Saul, 19; Paul, 16). È a Rahul, Saul e Paul che i genitori hanno telefonato prima di morire. I primi due vivono e lavorano in Kerala, il terzo a Hyderabad.

Alla squadra d’inchiesta, Rahul ha raccontato di aver parlato con i genitori intorno alle 16:30. All’improvviso, ha sentito un suono innaturale provenire da sua madre. Non riuscendo a capire cosa stesse succedendo, ha provato a chiedere al padre, ma anche la sua voce è stata come soffocata. “Ho sentito alcune persone attaccare fisicamente mia madre – ha riferito – forse un tentativo di stupro. E, quando mio padre ha cercato di proteggerla, hanno attaccato anche lui”. Dopo aver sentito questi rumori sospetti, qualcuno ha chiuso la telefonata. Quando ha cercato di richiamare, una voce preregistrata diceva che il cellulare “non era raggiungibile”.

Rahul ha provato ancora quella notte. In un primo momento, il telefono ha squillato cinque volte. Infine è stato spento. “Solo il 27 mattina ho saputo che erano scomparsi. Io e i miei fratelli abbiamo preso i primi treni disponibili e siamo tornati a casa”.


 

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