19/04/2011, 00.00
BANGLADESH
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Cristiani e ahmadiyya: un primo passo “positivo, educativo e costruttivo”

Molti i partecipanti alla conferenza bilaterale ospitata dagli ahmadi, perseguitati dall’islam sunnita perché “infedeli”. Incontro importante anche per i cristiani, secondo p. Francesco Rapacioli (Pime): “Capire un’alterità religiosa permette di comprendere meglio la nostra stessa fede”.
Dhaka (AsiaNews) – Un incontro estremamente “positivo, educativo e costruttivo” quello tra le comunità ahmadiyya e cristiana di Dhaka, avvenuto lo scorso 16 aprile. Lo afferma p. Francesco Rapacioli (Pime), che attraverso il movimento ecumenico “Shalom” – di cui è animatore – ha organizzato la conferenza bilaterale. “L’affluenza – spiega il sacerdote – è stata maggiore che in ogni altro incontro promosso da ‘Shalom’: i partecipanti erano 175, di cui un’ottantina cristiani e il restante ahmadi”. Come spiegato in apertura di conferenza, la comunità ahmadiyya è nata in India, nella zona del Punjab [al confine col Pakistan] nel 1889, da Mirza Ghulam Ahmad, che oltre a essere il fondatore del movimento, è considerato anche il messia. Dopo la sua morte, il movimento è stato presieduto da altri ‘mirza’, guide”. Al momento, la comunità è retta dal quinto leader, Mirza Masroor Ahmad.

Le radici indiane di questa comunità sono molto forti, secondo p. Rapacioli: “Gli ahmadiyya riconoscono come profeti anche quelli fuori dalla linea giudaico-cristiana, come Khrisna, Buddha o Confucio, a differenza invece dell’islam sunnita che accetta solo la figura di Gesù. Un tipo di teologia e comprensione del messianismo tipico degli indiani”. Proprio quest’apertura – insieme alla convinzione che il loro fondatore sia il nuovo messia – è uno dei motivi per cui sono discriminati e perseguitati dai fondamentalisti.

Che il clima in cui gli ahmadiyya vivono non sia affatto sereno emerge da un episodio occorso proprio durante la conferenza. “A un certo punto – spiega p. Rapacioli – la discussione si è un po’ bloccata. Mobasherur Rahman, national ameer [responsabile] della comunità bengalese e uno degli organizzatori, ha affrettato la conclusione dell’incontro, nonostante ci fossero moltissime domande, senza dare troppe spiegazioni. Ha fatto intervenire un altro paio di persone di entrambe le comunità, poi ha ripreso la parola e l’incontro è terminato un po’ in anticipo. Lì per lì non ho capito cosa stesse accadendo. Più tardi, da persona onesta qual è, mi ha confessato di aver visto entrare nella sede alcuni musulmani, che avrebbero senz’altro rovinato l’atmosfera, essendo sempre molto ostili e aggressivi nei loro confronti”.

Al di là di questo episodio, il bilancio finale dell’incontro è molto positivo. “Sia la comunità cristiana che quella ahmadiyya – continua p. Rapacioli – sono due minoranze in Bangladesh, e tra i due gruppi c’è sempre stata una certa diffidenza. Noi, oltretutto, rappresentiamo una minoranza anche dal punto etnico, visto che più del 50% dei cristiani sono tribali, indigeni. Loro, perché si tratta di una comunità dai tratti particolari, poco conosciuta. Eppure, non solo hanno voluto ospitarci nella loro sede, ma più tardi ci hanno offerto un rinfresco e messo a disposizione le loro pubblicazioni. Questo, secondo me, per dimostrarci di aver trovato una comunità con cui aprirsi, dialogare, incontrarsi. Ora, sanno di potersi misurare e confrontare in maniera pacifica con qualcuno. È come se avessero trovato degli alleati”.

L’evento è stato costruttivo anche per la comunità cristiana “proprio da un punto di vista educativo: capire che esiste un’alterità religiosa, con principi vicini ai nostri e che a volte è anche discriminata, in qualche modo ci permette di comprendere meglio la nostra stessa fede”. (GM)
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