18/06/2013, 00.00
INDIA – CAMERUN
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Da terra di missione a terra di missionari: l’India va in Africa

di Piero Gheddo
Anche se perseguitata, la Chiesa indiana continua a crescere: più di 2500 sacerdoti e 6mila suore sono all’estero. L’esperienza di p. Sleeva, missionario indiano del Pime in Camerun dal 2009. Nel confronto tra due civiltà diverse emerge la necessità di esportare il modello indiano della famiglia in Africa, perché “qui c’è amore, ma manca l’occasione per esprimerlo”.

Yaoundé (AsiaNews) - Un fatto che dà speranza. Le giovani Chiese delle missioni sono missionarie e mandano preti e suore in altri Paesi. La Chiesa dell'India è uno dei migliori esempi. Spesso perseguitata, non si è mai chiusa, ha più di 2.500 sacerdoti e circa 6.000 suore in servizio all'estero, specialmente in Medio Oriente, in Asia-Oceania e in Africa. Il Pime è presente in India dal 1855 e vi ha fondato 12 diocesi, ma solo dal 1991 ha aperto il suo primo seminario, oggi ne ha quattro in tre Stati indiani con circa 110 alunni, 16 dei quali studenti di teologia. I sacerdoti indiani del Pime sono 44, una ventina di quali nei seminari in India e una ventina in missione, due di quali in Camerun.

Padre Palli Sleevaiah (lo chiamano "Sleeva") è sacerdote dal 2008 e, dopo lo studio del francese a Parigi, dal 2009 è nella parrocchia Madonna di Lourdes a Ntem-a-si all'estrema periferia della capitale Yaoundé, come vice del parroco padre Fabio Bianchi. Sono stato a Ntem-a-si nel 2009 quando padre Fabio iniziava la costruzione della grande chiesa, ormai quasi terminata. Il quartiere di casupole e baracche è abitato da immigrati dalle campagne e dai paesi vicini, spesso in guerra o sotto il tallone di una dittatura. Il Camerun, uno dei pochi Paesi africani che ha sempre goduto la pace interna, attira molti profughi. Chiedo a padre Sleeva se è contento della sua missione.

"Quando sono arrivato a Yaoundé, all'aeroporto mi aspettavano parecchi fedeli della parrocchia e poi sono stato accolto e aiutato da tutti. La gente è accogliente, l'africano è espansivo e mi sono subito trovato bene. In Camerun siamo due sacerdoti indiani del Pime. Io a Yaoundé e Ambati a Kusserì, ai confini col Ciad. Non ho ancora imparato la lingua locale, l'ewondo, perché quasi tutti capiscono il francese e parecchi anche l'inglese. Sono incaricato dei giovani e sto iniziando un oratorio nel terreno della parrocchia. Vado anche nelle scuole pubbliche a parlare ai giovani, non ci sono  lezioni di religione, ma è permesso ai sacerdoti di parlare, basta  mettersi d'accordo col preside, i giovani vengono numerosi e volentieri. Nella nostra parrocchia i laici fanno molto in campo caritativo e pastorale, anche se hanno ancora il problema del pane quotidiano, ma danno parte del loro tempo alla Chiesa. Vedono che la parrocchia è l'unico ente che vive con loro e li aiuta in ogni modo. In queste periferie degradate lo Stato lo vedi poco, noi siamo sempre qui e questo crea anche tra i cattolici amicizia, solidarietà, comunità, aiuto vicendevole".

Chiedo a padre Sleeva cosa l'ha colpito di più in questa sua breve esperienza d'Africa. Risponde: "Le difficoltà che incontrano i ragazzi per crescere, per studiare, in campo economico, affettivo, culturale, nel senso che quasi non fanno un'esperienza significativa di vita familiare. Nella nostra parrocchia Madonna di Lourdes sono gente molto povera, impegnati nel procurare la sopravvivenza. Vivono poco assieme. Il papà mangia fuori quando può, la mamma anche lei si dà da fare per lavorare o trovare un qualsiasi lavoro e portare a casa qualcosa. I figli crescono per la strada. Io raccomando sempre di stare assieme almeno nei giorni di festa, ma non è facile per quei genitori seguire i figli. C'è amore, certo, ma manca l'occasione per esprimerlo. Io vedo la grande differenza con la situazione in India".

La società indiana - continua il sacerdote - "è più stabile in campo politico ed economico, c'è maggior sicurezza per tutti. E poi in India abbiamo un forte senso della famiglia e da circa vent'anni c'è una forte crescita dell'economia e aumenta il benessere. Ci sono ancora molte e gravi ingiustizie ma a poco a poco il benessere si diffonde. Da noi la famiglia tiene, in Africa, almeno fra i nostri poveri, temo la dispersione dei giovani e credo che questo si spieghi col fatto che in India siamo entrati nel mondo moderno con la colonizzazione inglese a partire dalla metà del 1800, in Africa oltre mezzo secolo dopo. L'India era un Paese unito sotto l'Inghilterra, l'Africa è divisa in molte nazioni. In India c'è stato un graduale passaggio dal tempo pre-coloniale al mondo moderno, la società indiana, che già aveva una storia millenaria alle spalle, si è adattata, sono cambiate le culture e anche la religione indù ha avuto i suoi riformatori. L'Africa non ha avuto il tempo necessario per questo processo. Il mondo moderno è stato un terremoto e uno tsunami che ha dissestato e capovolto tutto, a partire dalla famiglia alla società, dall'economia alla politica e alla religione".

Padre Sleeva è contento di essere missionario in Africa e dice: "I miei parenti preferivano che io fossi un prete diocesano, invece la gente del mio villaggio è contenta che uno di Velasapalli lavori in Africa. Io scrivo a loro che il nostro villaggio è conosciuto anche in Camerun e in Africa. E aggiungo che come noi abbiamo ricevuto la fede dai missionari italiani, così è giusto che un indiano porti Gesù agli africani. La cosa bella che ho visto qui in Africa è che i giovani sono forti e coraggiosi. Hanno tantissime difficoltà, ma non si scoraggiano mai, si riprendono facilmente, non sono pessimisti, si impegnano nel lavoro, nella scuola, nella società. Per le situazioni che stanno vivendo, hanno una carica vitale ammirevole. Capisco sempre meglio quanto il cristianesimo, che è la religione della speranza, è proprio adatto agli africani. I miei confratelli che sono in Africa da decenni confermano che se la Chiesa cattolica avesse le forze e i mezzi necessari per raggiungere tutti, il cammino dell'Africa nera verso Gesù Cristo sarebbe molto più rapido, anche perché inevitabile. Io ringrazio il Signore di essere missionario in Africa e anche i miei genitori, attraverso le mie lettere, incominciano ad essere orgogliosi di me". 

 

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