29/12/2007, 00.00
GIAPPONE
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Dal deserto all’oasi: il miracolo del Natale in Giappone

di Pino Cazzaniga
Nel Paese del Sol levante, segnato da secolarismo e consumismo, miseria e suicidi, il cristianesimo offre la “speranza affidabile” di cui parla il papa nella sua enciclica. Il racconto della notte di Natale da parte del nostro corrispondente, missionario del Pime.

Tokyo (AsiaNews) - In Giappone la celebrazione della festa del Natale è il miglior specchio nel quale si riflette la situazione delle chiese cristiane in questa nazione. Virtualmente nessuno dei 122 milioni di giapponesi ignora che il kurisumasu (dall’inglese Christmas) è la principale festività del mese di dicembre, ma ben pochi ne conoscono l’origine.

Per capire come esso viene celebrato, occorre dividere il Giappone in due sezioni: il deserto e le oasi. Il deserto è l’immagine di quasi tutto il Giappone, territorio e popolazione; le oasi sono l’immagine delle chiese cristiane. Molte oasi richiano di essere fagocitate dalle sabbia del deserto, altre sono, invece, centri di attrazione e fonte di speranza per l’evangelizzazione di questo popolo.

Il differente destino delle “oasi”  è determinato, almeno in parte, dalla diversità dell’ambiente culturale. L’enorme sviluppo sociale negli ultimi 60 anni ha dato origine a due culture: quella delle provincie, arroccata su posizioni tradizionali, e quella delle metropoli, aperta al futuro e all’ influenza della globalizzazione. Le oasi di attrazione, soprattutto per quanto riguarda il Natale, si trovano nella fascia della cultura cittadina. Nella prospettiva di queste distinzioni descrivo la celebrazione del kurisumasu giapponese basandomi sull’ esperienza e su alcune interviste.

In Giappone ci sono tre modi di celebrare il Natale: quello completamente secolarizzato, diffuso dovunque; quello delle comunità cristiane, molto religioso ma, virtualmente, senza presenza di non battezzati, e quello di grandi chiese che, nella notte del 24 dicembre, sono frequentate anche da molti non battezzati con motivazioni spirituali.

Il Christmas secolarizzato e’ conosciuto e celebrato ovunque. Tre sono le parole giapponesi che lo caratterizzano: illumination, Santa, puresento che stanno per “luminaria”, “santa Claus o babbo natale” e “scambio di doni”. Feste natalizie le cui radici non sono a Betlemme, ma a New York

Finita la guerra, durante il periodo dell’occupazione dei vincitori, gli americani hanno usato le celebrazioni natalizie come occasione per fare la carita’ agli orfani di guerra e ai poveri. Con il boom economico degli anni ’60 la festa del kurisumasu è diventata molto popolare anche grazie all’abilita’ dei commercianti, veloci a sfruttare le occasioni di lauti guadagni.

Tuttavia anche questa forma di celebrazione secolare, propagandata dall’Occidente, non è priva di nobili sentimenti. Da un’inchiesta condotta dalla Kirin Holdings, nota ditta di bevande, è risultato che il 70% dei 5.800 adulti intervistati, associano il Christmas con i sentimenti di felicità familiare. Ed è proprio nell’intimità della famiglia che la maggior parte dei giapponesi trascorrono la sera del Christmas.

Il Natale cristiano celebrato nelle chiese è di tale intensità religiosa che nel missionario risveglia la speranza. Anche nel deserto del Giappone tragicamente secolarizzato la fede produce oasi di vita. Il 24 sera ho partecipato alla messa di Natale nella parrocchia di Fuchu (Tokyo) curata da padre Alberto Di Bello del PIME. Nel breve tragitto dalla stazione alla chiesa ho sperimentato che cosa significa passare dal deserto all’oasi. Nella hall della stazione, di solito affollata, c’erano poche persone, tra le quali tre homeless, icone viventi della disperazione.

La chiesa, invece, era strapiena di fedeli: tutti esprimevano una letizia contenuta ma profonda. Guardando quella comunità ho capito che, come ha scritto Benedetto XVI, la speranza cristiana non è un semplice atteggiamento psicologico ma una realtà sostanziale che trasforma i cuori. Una catecumena di 35 anni, che aveva avuto una vita travagliata, ha pianto durante tutto il rito del battesimo.

Alla messa di Natale è seguito il party, un’ agape dove il silenzio contemplativo ha ceduto il posto a spontanei dialoghi di amicizia. La comunità cristiana ha anche la funzione di essere una societa’ alternativa o esemplare, dicono alcuni teologi. Cosi’ mi  e’ proprio sembrata la comunità di Fuchu in quella notte. Ed era tale perche’ i suoi membri attraverso la messa natalizia avevano ricevuto un aumento di quella speranza la cui mancanza è la causa dell’infelicita’ dei tre senzatetto, incontrati qualche ora prima, e dei 30.000 suicidi che ogni anno si compiono nella nazione che è la seconda potenza economica nel mondo.

Ma la chiesa che si presenta come fiorente oasi di attrattiva si trova a circa 25 chilometri da Fuchu, quasi al centro della capitale, è la chiesa di sant’Ignazio retta dai padri gesuiti. Da sei mesi ne è parroco un italiano, padre Domenico Vitali, 70 anni, dei quali 43 passati in Giappone. Si è fatto gesuita dopo aver letto la biografia del suo grande concittadino: padre Matteo Ricci.

Sapevo che la chiesa di sant’Ignazio e’, praticamente, il cuore del cattolicesimo in Tokyo, ma da una breve intervista con Vitali ho conosciuto particolari che mi hanno positivamente scioccato.

Il quartiere di Yotsuya, dove si trova la chiesa, non è zona residenziale, ma di uffici. Anche nei giorni feriali oltre alle messe mattutine se ne celebra una a mezzogiorno e una altra alle sei del pomeriggio: ambedue assai frequentate dagli impiegate e impiegati cattolici che lavorano negli uffici della zona.

Ma nel pomeriggio e nella sera del 24 dicembre vengono celebrate sei messe per dare la possibilità di assistervi alle molte persone che lo desiderano.

“Quest’anno, mi ha detto Vitali, vi hanno partecipato circa 10.500 persone: di esse tre quarti non erano cristiane” . Qual’e’ il motivo di tanta affluenza di non-cristiani? Curiosità? No.. Tutte quelle persone sono disposte ad affrontare un’ora di coda al freddo  prima di poter entrare perche’ sentono che il Christmas si celebra nella chiesa e non nei ristoranti o negli hotel.

La chiesa di sant’Ignazio è contigua all’università Sofia, anch’essa diretta dai gesuiti; ma per quanto riguarda la pastorale le due entità agiscono indipendentemente. Con il parroco Vitali collaborano a tempo pieno sei sacerdoti gesuiti e un anziano fratello che oltre ad essere “sacrestano” è anche “cappellano dei carcerati”.

Quest’abbondanza di zelo assieme alla facilità dei mezzi di comunicazione fanno della chiesa di san’Ignazio il cuore dell’evangelizzazione missionaria nella capitale, un’oasi nel deserto spirituale di Tokyo, dove, per usare un’espressione della “Spe salvi”, viene donata quella "speranza affidabile" in virtu’ della quale anche i giapponesi "possono affrontare il loro presente”.

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