20/09/2013, 00.00
MYANMAR
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Dalai Lama ai monaci birmani: Basta violenze anti-Rohingya

Il leader spirituale tibetano ricorda gli insegnamenti del Buddha e lancia un appello ai monaci birmani: niente più attacchi e violenze contro “i vostri fratelli e sorelle musulmani”. Aung San Suu Kyi chiede emendamenti alla Costituzione per risolvere il problema etnico. Nel sesto anniversario della Rivoluzione Zafferano i monaci chiedono le scuse delle autorità.

Yangon (AsiaNews/Agenzie) - Il Dalai Lama lancia un appello ai monaci buddisti birmani chiedendo loro di agire secondo i principi del Buddha, scongiurando episodi di violenza o attacchi mirati contro la minoranza musulmana Rohingya in Myanmar. "Quando emergono rancori o ire nei confronti dei vostri fratelli e sorelle musulmani - ha sottolineato il leader spirituale tibetano, nel corso di una conferenza di pace annuale tenuta nei giorni scorsi a Praga, capitale della Repubblica Ceca - per favore, ricordatevi [i principi] della fede Buddista". Egli ha inoltre aggiunto di "essere sicuro" che seguendo gli insegnamenti dell'Illuminato, i monaci birmani finiranno per "proteggere i fratelli e sorelle musulmani che stanno diventando [sempre più] vittime".

I monaci buddisti birmani si sono resi protagonisti di una campagna contro i musulmani, con proteste di piazza e, in alcuni casi, attacchi diretti contro comunità o singoli gruppi. In particolare, le violenze anti-Rohingya nello Stato occidentale di Rakhine divampate nel giugno 2012 hanno causato almeno 200 morti - soprattutto fra la minoranza musulmana - e oltre 140mila sfollati.

Nei giorni scorsi i religiosi birmani hanno ricordato il sesto anniversario della "Rivoluzione zafferano", divampata fra agosto e settembre del 2007 e repressa nel sangue dalla giunta, con oltre 30 morti e centinaia di monaci arrestati. Da anni i religiosi rifiutano offerte dai militari e non forniscono loro funzioni e celebrazioni per protesta contro la brutale repressione; i vertici del movimento buddista birmano confermano che il bando non verrà sollevato "finché non vi saranno scuse ufficiali" da parte delle autorità. Fra gli obiettivi fissati in questo sesto anniversario del massacro, la promozione "di nazionalità e religione, pace e riconciliazione nazionale e un deciso progresso nel cammino democratico del Myanmar".

Intanto anche la leader dell'opposizione e Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, nel suo recente tour in Europa, ha toccato il tema delle violenze contro le minoranze in Myanmar. La "Signora" punta il dito contro l'attuale Costituzione - scritta dalla dittatura militare e ratificata con un referendum farsa nel 2008, in piena emergenza causata dal ciclone Nargis - sottolineando che essa va "modificata" per sradicare le radici dei conflitti. "Il problema etnico - ha spiegato la parlamentare e leader della Lega nazionale per la democrazia (Nld) - non sarà risolto con questa Costituzione, che non soddisfa le aspirazioni delle nazionalità etniche". E aggiunge che alle minoranze va garantita "per prima cosa la sicurezza", perché "sentano che vi è pari acceso alla giustizia".

Negli ultimi due anni le violenze fra buddisti e musulmani hanno acuito il clima di tensione fra le diverse etnie e confessioni religiose che caratterizzano il Myanmar, teatro lo scorso anno di una lotta sanguinaria nello Stato occidentale di Rakhine fra Arakanesi e Rohingya musulmani. Lo stupro e l'uccisione di una giovane buddista ha scatenato una spirale di terrore, che ha causato centinaia di morti e di case distrutte, almeno 160mila sfollati molti dei quali hanno cercato riparo all'estero, per sfuggire agli attacchi degli estremisti buddisti del gruppo 969. Secondo le stime delle Nazioni Unite in Myanmar vi sono almeno 800mila musulmani Rohingya, che il governo considera immigrati irregolari e per questo sono vittime di abusi e persecuzioni. 

 

 

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