02/03/2016, 13.14
CINA
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Deputato cinese: Basta “confessioni” in tv, danneggiano lo Stato e la dignità della persona

Zhu Zhengfu, vice presidente dell’Associazione degli avvocati di Cina e delegato alla Conferenza consultiva politica del popolo cinese, critica la scelta di far parlare in televisione i sospettati. Il riferimento è agli editori di Hong Kong e ai sempre più numerosi attivisti per i diritti umani che si “pentono in diretta” dei propri crimini. Il capo della polizia del Territorio: “Lee Bo non racconta tutta la verità”.

Pechino (AsiaNews) – Le “confessioni” trasmesse dalla televisione nazionale “non equivalgono a una confessione legittima davanti all’autorità e non forniscono reali prove di colpevolezza o innocenza. Non aiutano i diritti dei sospettati e neanche il sistema giudiziario”. Lo ha dichiarato Zhu Zhengfu, vice presidente dell’Associazione degli avvocati di Cina e delegato alla Conferenza consultiva politica del popolo cinese, a pochi giorni dall’annuale assemblea del “Parlamento” cinese.

Zhu fa parte della commissione di giurisprudenza della Conferenza, che dovrà proporre all’Assemblea nazionale del Popolo emendamenti o testi di legge da prendere in considerazione. Da parte sua, il legale intende puntare il dito contro le apparizioni televisive di personaggi legati a casi giudiziari: “Persino coloro che sono sospettati di crimini tremendi hanno diritto alla dignità, e nessuno confesserebbe in tv se non gli fosse stata promessa in cambio una sentenza più leggera”.

Questa pratica, aggiunge, “porterà via i processi dai tribunali e li trasferirà nei media, dando al pubblico l’impressione che chiunque parli sia di fatto colpevole. Sarà poi difficile per un qualunque tribunale dichiarare la stessa persona innocente, davanti a queste ondate dell’opinione pubblica”.

Confessare in televisione è divenuta una pratica di routine del governo nei confronti dei dissidenti. Nel gennaio 2016, l’attivista svedese Peter Dahlin ha confessato di “aver incitato a opporsi al governo” prima di essere deportato. All’inizio di febbraio, l’avvocato Zhang Kai – che difende le croci del Zhejiang dalla demolizione – ha dichiarato sempre in tv di aver voluto “ottenere fama e denaro” sfruttando la questione.

Nei giorni scorsi, sempre sugli schermi è apparso Lee Bo: l’editore, scomparso da Hong Kong insieme ad alcuni soci, ha dichiarato di essere stato traviato da un socio scorretto e di aver voluto recarsi in Cina in maniera volontaria per aiutare le autorità con una indagine in corso. Infine ha annunciato di voler rinunciare alla cittadinanza britannica e ha chiesto di essere “lasciato in pace”.

Il capo della polizia di Hong Kong, commissario Stephen Lo Wai-chung, ha dichiarato che dal suo punto di vista Lee “nasconde qualcosa”, ma ha aggiunto che la polizia del Territorio deve accettare la storia che ha recitato. Il funzionario ha incontrato Lee in territorio cinese, e questi ha chiarito di “non volere la nostra assistenza”.

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