24/05/2006, 00.00
TIMOR EST
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Dili: città deserta, la gente "si sente in guerra"

Dopo le massicce proteste all'interno dell'esercito contro la leadership militare, la situazione a Timor Est sembra precipitare con quotidiane sparatorie. Almeno 20 mila persone "terrorizzate" si sono rifugiate nei villaggi, nelle parrocchie e nelle scuole. La Chiesa esorta alla calma. Possibile  intervento militare di Australia e Nuova Zelanda.

Dili (AsiaNews) – A Dili le case sono vuote. Tra la gente la sensazione è quella di essere in guerra. A migliaia lasciano le proprie abitazioni in cerca di un rifugio più sicuro, "terrorizzati" dalle violenze che da settimane scuotono il giovane Stato di Timor Est. Così appare oggi Dili come la racconta ad AsiaNews Francis Suni, giovane padre di famiglia, che dalla capitale parla della "tesissima" situazione in cui è precipitato il Paese da fine aprile.

I disordini sono scoppiati dopo la diserzione per protesta di 600 soldati, un terzo delle forze armate, che denunciavano discriminazioni su base etnica: i "disertori" sono originari della parte ovest dell'isola, mentre la leadership militare di quella est. Dopo le proteste, il governo ha licenziato i rivoltosi, che, armati, si sono stanziati sulle colline intorno a Dili.

"Oggi si sentono ancora forti spari - riferisce Francis - da due giorni gli scontri tra ex militari ed esercito regolare avvengono soprattutto nelle periferie della città, ma la gente è terrorizzata e scappa in massa". Ieri, in due differenti attacchi sferrati dagli ex militari alle truppe regolari sono rimaste uccise almeno due persone. Il 28 aprile, all'inizio delle proteste, i tumulti popolari nella capitale hanno provocato cinque morti e dato il via alla fuga di almeno 20 mila abitanti verso le campagne. Un sacerdote verbita locale, spiega che "la gente torna ai villaggi d'origine oppure chiede ospitalità nelle parrocchie e nelle scuole cattoliche".

La crisi ha radici profonde

Analisti sul posto intervistati da AsiaNews spiegano che "il problema ha radici più profonde, riconducibili soprattutto allo scontento popolare per la figura del premier Mari Alkatiri, un musulmano in cui il Paese a maggioranza cattolica non si rispecchia, e alla mancata collaborazione all'interno dei partiti al governo". A questo si aggiungono le tensioni sociali tra i gruppi etnici e le critiche al potere per la povertà in cui continua a versare il Paese.

Secondo alcuni esponenti del Fretilin - il partito di maggioranza, cui appartiene lo stesso primo ministro - Alkatiri dovrebbe dimettersi per la cattiva gestione delle rivolte. "Un ricambio all'interno del governo - avvertono gli analisti - non risolverebbe la crisi; la gente potrebbe continuare ad essere insoddisfatta. E comunque bisogna aspettare solo un anno per le prossime elezioni generali". "Quello di cui ora il Paese ha bisogno è l'intervento di agenzie di soccorso a favore della popolazione" concludono.

Si profila l'intervento di forze estere

Secondo un giornalista locale "probabilmente, se continua così, il governo chiederà l'intervento di Australia e Nuova Zelanda, che hanno già dato la loro disponibilità; ma sarebbe una mossa sbagliata". La decisione è difficile perché "al momento si combatto anche civili appartenenti a diversi gruppi etnici e circolano molte armi". "Un intervento esterno - sottolinea la fonte di AsiaNews - peggiorerebbe la situazione, il nostro esercito ha forze sufficienti per sedare la rivolta e rimane la via del negoziato".

Per precauzione l'Australia ha posizionato già dalla scorsa settimana navi da guerra con a bordo 1100 soldati nelle sue acque settentrionali pronte a intervenire "qualora lo chiedano Dili e le Nazioni Unite". Anche la Nuova Zelanda invierà soldati, se richiesto, e intanto sta pianificando l'eventuale evacuazione dei suoi connazionali. Già evacuata, invece, l'ambasciata Usa e il personale australiano "non indispensabile nella zona". In allerta anche il Portogallo, che dominò Timor Est dal Seicento al 1975 anno dell'invasione indonesiana.

Per ora il presidente Xanana Gusmao non ha preso decisioni, ma ha giurato di catturare i responsabili delle violenze.".

La Chiesa

La Chiesa cattolica, che ha giocato un ruolo fondamentale nella lotta per l'indipendenza di Timor Est dall'Indonesia nel 1999, non si era ancora espressa fino a ieri, quando il vescovo di Baucau, mons. Basilio do Nascimento, ha lanciato un appello al Paese, perché cessino le violenze, già a lungo sperimentate in passato. Tra il 1975 e il 1999 l'esercito di Jakarta ha praticato torture e stupri sulla popolazione di Timor, causando la morte di decine di migliaia di civili.

Un sacerdote della diocesi di Dili ritiene che tutto quello che la Chiesa può fare al momento è rimanere vicino agli sfollati. E aggiunge: "Timor Est ha bisogno di tranquillità per crescere gradualmente, i giovani sono molti e hanno voglia di studiare nel loro Paese, sperando ancora di poterlo migliorare".(MA)

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