17/09/2011, 00.00
NEPAL
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Donne migranti nepalesi vittime di abusi e sfruttamento

Arabia Saudita e Kuwait i Paesi più a rischio. Ong denuncia l’alto numero di donne emigrate in Medio oriente per via illegale. Oltre il 16% ritorna in patria senza aver ricevuto la paga.
Kathmandu (AsiaNews/ Agenzie) – Il 90% delle donne migranti nepalesi è vittima di violenze sessuali e sfruttamento. È quanto emerge da una ricerca del Foreign Nepali Workers Rescue Center (Fnwrc), organizzazione non governativa in difesa delle lavoratrici migranti. Secondo l’Fnwrc, i casi più drammatici si registrano nei Paesi arabi, dove per le lavoratrici migranti è normale essere stuprate, picchiate e non pagate. Per fermare questo trend, dal 1998 al 2010 il governo nepalese ha limitato le partenze verso il Medio oriente.

Ogni anno circa 83mila donne lasciano il Paese in cerca di lavoro. Di queste la maggior parte sceglie come meta il Medio oriente, soprattutto Arabia Saudita e Kuwait, dove le opportunità di impiego sono maggiori. Tuttavia, negli Stati arabi si registra anche la più alta presenza di lavoratori clandestini. Delle 67mila donne emigrate in Medio oriente nel 2006, solo 3mila sono partite con regolari documenti e un contratto di lavoro. Per evitare la burocrazia, migliaia di donne si rivolgono a trafficanti di uomini. Per 1000 dollari essi promettono alle migranti un impiego, spesso inesistente, costringendo le donne a lavorare come schiave presso datori di lavoro senza scrupoli.

Sapana Bishwokarna, 26 anni, è emigrata in Arabia Saudita nel 2007. Prima di partire aveva pagato 700 dollari con la promessa di un lavoro come baby-sitter in una famiglia di Riyadh. Al suo arrivo scopre che non c’è nessun bambino da accudire e che dovrà lavorare come domestica. “La famiglia – racconta la ragazza – era composta da un padre e due figli già adulti. Io non capivo la loro lingua e per punizione venivo picchiata tutti i giorni”. Per mesi il suo datore di lavoro e i suoi figli abusano di lei. Rimasta incinta la rispediscono in Nepal senza pagarla. Ritornata nel suo villaggio, oggi Sapana lavora come sarta per mantenere il suo bambino di due anni. “Sono emigrata perché volevo diventare indipendente – afferma – ma per le donne emigrare all’estero è troppo pericoloso. Chi ci assume ci trattata come animali”.

Kumar Yatru, sociologo, spiega che le autorità fanno poco o nulla per controllare l’emigrazione e soprattutto il rispetto dei diritti delle donne migranti nei Paesi esteri. Più del 16% ritorna in patria senza aver ricevuto lo stipendio pattuito. I clandestini non godono di nessuna tutela e spesso le loro situazioni sono sconosciute alle autorità. Per regolarizzare l’emigrazione, il governo ha creato dei centri di assistenza dove è possibile imparare la lingua del Paese di impiego, le sue leggi e informarsi su eventuali rischi. Tuttavia, le strutture sono tutte a Kathmandu, difficili da raggiungere per chi proviene dai distretti più poveri e remoti del Paese.

Saru Joshi, coordinatore del programma regionale delle Onu per le donne nepalesi, dice che nonostante i rischi la percentuale di migranti è in continuo aumento. “In Nepal – spiega - le donne non hanno ancora i diritti di proprietà e vanno all’estero per migliorare il loro status economico. A casa dipendono dalla volontà di mariti e suoceri”. Invece di sostenere l’emigrazione, il governo dovrebbe attuare politiche concrete per tutelare i diritti delle donne in patria, assicurando pari opportunità con gli uomini. “Purtroppo il Nepal è ancora un Paese patriarcale – sottolinea – e le tradizioni culturali ostacolano l’attuazione delle riforme”.

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