08/02/2016, 12.41
INDONESIA
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Dopo gli attentati, Jakarta in bilico fra prevenzione e diritti umani

di Mathias Hariyadi

Uno degli obiettivi a breve termine del presidente Joko Widodo è la riforma delle leggi sul terrorismo, per permettere operazioni di prevenzione. Gli attentatori di Jakarta erano monitorati da tempo ma la polizia non ha potuto fare nulla per bloccarli. Cresce la minaccia dello Stato islamico nel Paese. Convocate le organizzazioni musulmane moderate: “Controllate i sermoni nelle moschee”. Singapore e Malaysia modelli di lotta all’integralismo.

Jakarta (AsiaNews) – Gli attentati terroristici dello scorso 14 gennaio a Jakarta hanno riaperto l’emergenza sicurezza in Indonesia, e ora il Paese si interroga sulle modalità migliori per prevenire attacchi simili e combattere l’estremismo islamico connesso allo Stato islamico (SI). Il primo dato messo in luce dai recenti attacchi, dicono membri del governo, è che la guerra al terrore non può essere condotta solo di contrattacco, con la caccia ai responsabili e il loro eventuale arresto. Ci sono tanti episodi, infatti, di terroristi che negli anni di carcere si sono radicalizzati ancor di più, tenendo contatti con i loro compagni e facendo proseliti.

È di pochi giorni fa l’arresto, da parte della squadra anti-terrorismo Densus 88, di sette cittadini indonesiani di West Jakarta, accusati di avere stretti contatti con lo SI e di aver pubblicato video di propaganda online.

Per fronteggiare l’emergenza, uno degli obiettivi del presidente Joko Widodo è la riforma delle leggi sul terrorismo (Undang-undang, Uu), per permettere operazioni di prevenzione e non solo di risposta a fatti compiuti. In riferimento agli attentati di Jakarta, Pramono Anung, Segretario di governo, ha detto: “Avevamo già identificato i colpevoli e conoscevamo le loro attività. Li monitoravamo da molto tempo, ma dato che il sistema legale è molto debole, i 19 sospettati non stati perseguiti e nessuna azione è stata fatta per fermare i loro piani”. “Questi fatti – ha aggiunto – ci insegnano che dobbiamo prendere misure preventive e organizzare programmi di deradicalizzazione, senza ignorare i diritti umani dei sospettati”.

I Paesi da prendere come esempio, afferma Anung, sono la Malaysia e Singapore, che permettono “di monitorare e perseguire chiunque ritorni dalla Siria. Al momento noi non abbiamo basi legali per procedere a blitz preventivi, mentre sappiamo che almeno 100 indonesiani sono tornati dalla Siria”. Le autorità hanno confermato che 384 cittadini si sono uniti allo Stato islamico in Medio Oriente.

Un altro problema che le attuali leggi anti-terrorismo non permettono di affrontare è quello relativo alla propaganda integralista, portata avanti in pubblico e nelle moschee. Per mettere in pratica il programma di deradicalizzazione, nei giorni scorsi Joko Widodo ha convocato i leader del Nahdlatul Ulama (Nu) e del Muhammadiyah, le più grandi organizzazioni islamiche moderate del Paese: “Il presidente – dice Luhut Panjaitan, ex ministro della Sicurezza – ha chiesto loro di controllare gli insegnamenti islamici, che non contengano messaggi provocatori durante le preghiere del venerdì (o in altri momenti)”.

Le leggi anti-terrorismo in vigore (Uu No 9/Year 2013 e No 15/Year 2003) sono state approvate nel 2003, quando la preoccupazione maggiore era quella di evitare un potere eccessivo nelle mani dello Stato. Nell’epoca di Suharto (dittatore dal 1966 al 1998), l’intelligence militare aveva molta più libertà e poteva arrestare potenziali criminali. Inoltre, non tutti i guru islamici avevano il permesso di predicare, ma dovevano essere “legittimati” dal governo, che monitorava i sermoni del venerdì. Alla caduta di Shuarto, queste leggi furono usate contro la libertà di parola e i diritti umani.

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