21/11/2007, 00.00
VATICANO-ISRAELE
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Due nunzi ed i “ritardi” della politica israeliana verso la Chiesa

L’attuale rappresentante vaticano a Gerusalemme denuncia delusione e frustrazione per il comportamento dei governi israeliani. Giorni fa il suo predecessore aveva parlato di sfiducia. E il 12 dicembre nuova sessione della Commissione congiunta.
Roma (AsiaNews) – E dopo mons. Pietro Sambi, ad esprimere “delusione” e “frustrazione” nei confronti della politica dei governo israeliani degli ultimi dieci anni nei confronti della Santa Sede e della Chiesa cattolica è stato mons. Antonio Franco. Ad accomunarli la qualifica di rappresentante papale in Israele, che il primo aveva fino al 2005 ed il secondo ha attualmente. Difficile, a questo punto, respingere la convinzione che è questo il reale pensiero dei responsabili vaticani, anche visto il riferimento fatto dal direttore della Sala stampa, padre Federico Lombardi, alla “esperienza” di mons. Sambi, in un commento di giorni fa. Il quale mons. Sambi, peraltro, da Tel Aviv è stato promosso a Washington, cioè in uno dei posti chiave della diplomazia internazionale.
 
La valutazione sulla politica israeliana da parte de due nunzi appare comune, anche se i toni sono diversi: intervistato dal Jerusalem Post, mons. Franco ha parlato di “una qualche frustrazione” a causa del “così tanto tempo per trovare un accordo”, aggiungendo che “sentimenti di delusione sono naturali”. “È sotto gli occhi di tutti quale fiducia si possa accordare alle promesse d’Israele!”: aveva detto cinque giorni fa mons. Sambi, riferendosi alla stessa questione. E aveva aggiunto che “le relazioni tra la Chiesa cattolica e lo Stato d’Israele erano migliori quando non c’erano i rapporti diplomatici”.
 
Entrambi i nunzi si riferiscono al tempo invano trascorso per realizzare gli impegni presi. “Il 30 dicembre 1993 – spiegava mons. Sambi - è stato firmato l’Accordo Fondamentale il quale, oltre a prevedere lo stabilimento dei rapporti diplomatici, comanda anche che vi sia un Accordo giuridico, firmato nel 1997 e mai entrato in vigore sul territorio israeliano, e un Accordo economico che deve toccare soprattutto tre argomenti: le proprietà della Chiesa ingiustamente espropriate o sottoposte a ingiusta servitù; i servizi che la Chiesa rende alla popolazione israeliana, sia essa di origine ebraica o palestinese: ad uguale servizio deve corrispondere uguale compenso, come per le istituzioni statali; la questione delle tasse”.
 
Il giorno stesso, padre Lombardi in una dichiarazione sull’intervista a mons, Sambi a terrasanta.net, affermava che essa “riflette il suo pensiero e la sua esperienza personale vissuta nel corso degli anni del suo servizio presso la Delegazione apostolica di Gerusalemme e come nunzio in Israele. Da parte della Santa Sede – aggiungeva - si ribadisce l’auspicio – già espresso in occasione della recente visita del Presidente Peres al Santo Padre – ‘per una rapida conclusione degli importanti negoziati ancora in corso’ e per la soluzione di comune accordo dei problemi esistenti”.
 
Sembra questo l’obiettivo delle tre prese di posizione provenienti da esponenti vaticani: ottenere concreti passi avanti già nella prossima riunione della Commissione mista, in programma per il 12 dicembre.
 
In proposito il quotidiano israeliano riporta l’opinione del rabbino David Rosen, del quale dice che ha collaborato per la realizzazione dell’accordo di 14 anni fa e ricorda il ruolo di incaricato dei rapporti interreligiosi nell’ American Jewish Committee. “Il Vaticano – dice Rosen – sta mostrando una notevole pazienza e comprensione nei confronti degli impegni presi dallo Stato di Israele con l’Accordo fondamentale, che dovevano essere risolti entro due anni, ma che non sono stati ancora risolti”. Rosen aggiunge che la “pazienza” vaticana è testimonianza del suo impegno per buoni rapporti con il popolo ebraico e lo Stato di Israele. (FP)
 
 
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