22/10/2012, 00.00
TIBET – CINA
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Due nuove auto-immolazioni in Tibet, il mondo “ha scelto di non vedere”

Lhamo Kyeb, 27enne sposato con due figli piccoli, si è dato fuoco a Bhora per chiedere la fine della repressione cinese e il ritorno del Dalai Lama. Poco prima aveva compiuto lo stesso gesto anche Dhondhup, 50 anni. Le auto-immolazioni nella regione arrivano a 57, nonostante gli appelli del Dalai Lama e del governo in esilio a favore della vita. Il direttore di Free Tibet: “La Primavera tibetana non finirà anche se i governi internazionali scelgono di ignorarla."

Dharamsala (AsiaNews) - Nonostante la repressione del regime comunista, non accenna a fermarsi la scia di auto-immolazioni in Tibet. Lhamo Kyeb, 27 anni, si è dato fuoco alle 2 del pomeriggio (ora locale) per protestare contro l'occupazione cinese della regione e chiedere il ritorno del Dalai Lama a casa.

Si tratta del 57esimo tibetano che sceglie questa estrema forma di protesta: sia il leader spirituale del buddismo tibetano che il governo in esilio hanno chiesto agli abitanti della regione di "rispettare a tutti i costi la propria vita" ma hanno riconosciuto le "terribili situazioni" in cui versano i tibetani.

Poche ore prima ha scelto di darsi fuoco anche un uomo di 50 anni, Dhondup, che ha deciso di uccidersi nei pressi del monastero Labrang, molto noto nel Tibet orientale per la propria opposizione alle politiche cinesi. I monaci di Labrang sono noti per aver messo in atto una protesta anti-Pechino nel 2008, durante la visita di alcuni giornalisti occidentali, ma quella di Dhondup è la prima auto-immolazione ad avvenire in quel luogo.

L'auto-immolazione di Lhamo è avvenuta invece nel villaggio di Bhora, nella contea di Sangchu, nella Prefettura tibetana di Kanlho: lascia una moglie e due figli, di 10 e 7 anni. Secondo alcuni testimoni oculari, si è dato fuoco e ha iniziato a correre verso il monastero buddista del villaggio: gli agenti delle forze di sicurezza hanno cercato di bloccarlo per spegnere le fiamme, ma l'uomo si è opposto fino a che non è caduto a terra morto.

Prima di morire, ha urlato slogan per chiedere il ritorno del Dalai Lama in Tibet. Dal 1959 il leader religioso è in esilio a Dharamsala, in India, dove ha sede anche il governo tibetano in esilio. Secondo le autorità comunista, sono proprio il Dalai Lama e i suoi ministri a fomentare questi suicidi: nel corso di un grande summit pan-tibetano, invece, la diaspora ha chiesto ai propri concittadini di scegliere forme pacifiche di protesta.

Dopo la morte di Lhamo, gli abitanti del villaggio e i monaci locali ne hanno portato il corpo nel monastero di Bhora, dove hanno tenuto diverse funzioni per la sua anima. I tibetani dei villaggi vicini si sono recati nel luogo di culto, hanno preso il corpo del defunto e lo hanno riportato a casa nel suo villaggio natale, Dokabma.

Stephanie Brigden, direttore del Free Tibet (che ha dato la notizia dell'auto-immolazione) dice: "Le proteste contro la brutale soppressione cinese dell'identità e della cultura tibetana hanno ormai raggiunto un punto che richiede l'intervento della comunità internazionale. La Primavera tibetana non riuscirà ad avere successo soltanto perché i governi mondiali hanno scelto di ignorarla".

 

 

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