12/10/2011, 00.00
BANGLADESH
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Educazione, sanità e pastorale porta a porta, tra i tribali della nuova diocesi di Sylhet

di Nozrul Islam
Intervista a mons. Bijoy Nicephorus D’Cruze, Oblato di Maria Immacolata, vescovo della settima diocesi del Bangladesh. I cattolici della regione sono 17mila e lavorano nei “giardini da tè” di cui è ricca la regione. La diocesi non ha nulla: cattedrale, episcopio, seminario, ospedali e scuole sono tutti da fare.
Sylhet (AsiaNews) – Educazione, assistenza sanitaria e pastorale porta a porta: sono gli obiettivi di mons. Bijoy Nicephorus D’Cruze, vescovo nella neonata diocesi di Sylhet, la settima del Bangladesh. Insediatosi lo scorso 30 settembre, mons. Bijoy proviene dalla diocesi di Khulna, realtà radicalmente diversa da quella di Sylhet. L’area della nuova diocesi – essa copre i distretti civili di Sylhet, Sunamganj, Habiganj e Moulvibazar – è collinare e ricca di giardini da tè, dove lavorano i 17mila tribali cattolici dell’area. Una minoranza, in condizioni di povertà e ignoranza estreme: su una popolazione totale di 8,2 milioni, essi rappresentano appena lo 0,1%, contro l’85% dei musulmani e il 15% di indù. In apparenza, un avvio in salita: la nuova diocesi – creata il 7 luglio scorso – conta sei parrocchie, 11 centri missionari, 21 preti. Mancano ancora tutte le altre strutture episcopali – cattedrale, episcopio, seminario – oltre a scuole e ospedali. Ma adesso, i cattolici “si sentiranno più supportati” e “ritroveranno la loro identità cristiana”. Di seguito, l’intervista di AsiaNews a mons. Bijoy, Oblato di Maria Immacolata.

Sylhet è una diocesi nuova. Cosa ha trovato e com’è la situazione attuale?

Mi sono insediato il 30 settembre scorso, la mia vita a Sylhet è appena iniziata. Al momento ci sono sei parrocchie, dove lavorano 21 sacerdoti – sia Oblati di Maria Immacolata (Omi) che della Congragazione di Santa Croce (Csc) – e altre congregazioni femminili. Manca tutto il resto: cattedrale, episcopio, seminario, per non parlare di scuole e ospedali. Al momento, insieme a un altro sacerdote, ho affittato una casa dove vivo.

Sylhet è una diocesi tribale: su una popolazione totale di circa 8,2 milioni di persone, i cattolici sono appena 17mila. Con una comunità così piccola e tribale, per lo più impiegata nei giardini da tè, c’è molto lavoro da fare. Tuttavia, i rapporti con le comunità musulmana e indù sono pacifici.

Eccellenza, prima di Sylhet lei è stato il vescovo di Khulna. Quali differenze ha riscontrato?

La situazione è profondamente diversa, soprattutto da un punto di vista culturale. Nel 2005, quando sono stato nominato vescovo di Khulna, avevo a che fare con una diocesi nata 60 anni prima e già formata: episcopio, segretariato, ospedali, scuole, istituzioni dedicate alle altre comunità. Inoltre, la popolazione cattolica della diocesi è bengalese, non tribale. Infine, la diocesi di Khulna era molto conosciuta dalla gente e dalle altre comunità, in particolare quella islamica, che ha sempre avuto grande rispetto per la Chiesa cattolica e usufruito dei suoi servizi, dedicati a tutti.

Qui le persone sono tribali, mentre io sono bengalese. Non hanno vere e proprie scuole, né grandi ospedali. C’è qualche dispensario gestito dalle suore di Madre Teresa, altre piccole istituzioni che aiutano la gente. Abbiamo culture diverse, ma in passato ho lavorato nella diocesi, quindi conosco queste persone. E loro mi conoscono e hanno fiducia in me, vogliono che io sia il loro vescovo. E io sono molto felice di essere il loro vescovo.

Quali saranno i suoi primi obiettivi?

Come ogni vescovo in un Paese musulmano, voglio predicare la parola di Dio, evangelizzare la mia gente e far conoscere Cristo alle altre comunità. Ma l’evangelizzazione è difficile, musulmani e indù spesso rifiutano l’incontro con la religione cattolica. La Chiesa cattolica, in Bangladesh, è nota per i suoi servizi rivolti a tutte le comunità. L’educazione sarà il mio primo obiettivo. Poi, voglio concentrarmi sul campo medico: dispensari, medici, infermiere… I tribali sono molto poveri e spesso non hanno modo di andare dai dottori dei villaggi. Devono formarsi una cultura della sanità. Per fare questo, cercherò l’appoggio della Caritas, presente in quest’area, che offre servizi fondamentali.

In che modo la creazione della diocesi di Sylhet darà slancio alla presenza della Chiesa in Bangladesh?

Prima Sylhet era sotto la diocesi di Dhaka. Ma tra le due città corrono quasi 300 km, difficili da percorrere perché le strade in Bangladesh non sono affatto buone. Certe aree sono isolate. In condizioni simili, i vescovi non riescono a condurre le loro visite pastorali in modo regolare. Adesso invece vivo lì e avrò la possibilità di fare visita a ciascun cattolico della diocesi. Le persone si sentiranno più supportate, e oltre ad avere nuovi servizi ritroveranno la loro identità cristiana. Così l’intera comunità cattolica in Bangladesh sarà molto più riconosciuta.

Con Sylhet, le diocesi del Bangladesh diventano sette. Sono molto grato al nostro papa Benedetto XVI, che ha pensato a questa piccola comunità di 17mila tribali, che conducono una vita pacifica tra le colline del nord del Paese. I cattolici riceveranno attenzioni migliori. Sono fiero di vivere qui a Sylhet.
 
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