12/07/2011, 00.00
CINA - ITALIA
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Europa, una “schiena diritta” per criticare la Cina che rapisce i vescovi

di Bernardo Cervellera
L’on. Alfredo Mantovano chiede all’Unione europea di alzare la voce sulla libertà religiosa in Cina. Senza rispetto dei diritti umani, non si riesce a far rispettare nemmeno le regole del mercato. Troppa tolleranza verso la Cina e le sue violazioni non porta nulla nemmeno all’economia, né apertura dei mercati, né rispetto per i brevetti.
Roma (AsiaNews) – Davanti al rapimento dei quattro vescovi del Guangdong, sequestrati per obbligarli a partecipare a un’ordinazione episcopale illecita (senza il mandato del papa), occorre “un sussulto di dignità” da parte dell’Europa, una “schiena diritta” che difenda i diritti religiosi.
Il parlamentare italiano, on. Alfredo Mantovano, spiega così ad AsiaNews il silenzio di media e Ue davanti alla notizia del sequestro dei vescovi del Guangdong: l’Europa è un’unione monetaria, ma manca di una visione politica e di “prospettive lungimiranti”. La falla della Ue – e dei media - non è solo verso la libertà religiosa, ma verso tutto ciò che colpisce l’uomo europeo: “si parla della crisi economica, ma non di quanto questa crisi “provoca nella vita degli europei: il rifiuto della vita, il rifiuto di formare la famiglia”. L’Europa esalta i diritti umani come “formalizzazione e consacrazione dei desideri”, ma dimentica il rispetto dei diritti autentici.
Se non si affermano delle regole nel rispetto dei diritti, sarà difficile chiedere alla Cina il rispetto delle regole nell’economia e nel mercato. Ecco l’intervista completa che l’on. Mantovano ha dato ad AsiaNews
:

On. Mantovano, ci dica la sua opinione sul rapimento dei vescovi e sul silenzio dell’Europa.
Sul sequestro dei vescovi, l’Europa dovrebbe giustificare la sua esistenza in vita politica. Essa è certo un’unione monetaria, tenta di essere un’unione economica – anche se con delle falle -, manca però totalmente sul fronte delle emergenze che richiedono prospettive anche lungimiranti. Questo lo dico riferendomi sia alle famiglie europee, per cui si parla di tutt’altro, ma non di uno sviluppo demografico; si parla di una tutela dei diritti – più come formalizzazione e consacrazione dei desideri, ma come qualcosa di naturalmente fondato. Fra questi vi è anzitutto il diritto alla libertà religiosa, dentro e fuori l’Unione.

Quello che è accaduto in questi giorni in Cina, è di particolare gravità: per la qualifica di coloro che sono stati sequestrati; per la coercizione che vi è contenuta nel sequestro; per l’atto simbolico e intimidatorio nei confronti di tutti i fedeli cristiani e non nella nazione cinese. È come voler affermare: qui continua a comandare lo Stato e chi si mette di traverso avrà delle sanzioni pesanti.
Un sussulto di dignità da parte delle istituzioni europee imporrebbe di intervenire e far sentire la propria voce.

Ci vorrebbe anche una sensibilità da parte dei media europei. Oggi, sfogliando i giornali italiani rimango stupito che la notizia dei rapimenti dei vescovi – al di là di qualche lodevole eccezione [come in Avvenire e il Messaggero – ndr] - non è nemmeno riportata.

A cosa si deve questo?
Al fatto che il mix mediatico-istituzionale si muove su una linea esclusivamente orizzontale. Conta lo spread, il rendimento dei titoli, ma non conta quello che la crisi economica provoca nella vita degli europei: il rifiuto della vita, il rifiuto di formare una famiglia. Conta invece un peloso rispetto per presunti diritti che fa invocare leggi contro l’omofobia, e che in realtà sarebbero leggi liberticide; non conta invece il rispetto dei diritti autentici, che fanno crescere l’uomo, fra cui vi è la libertà religiosa.

Studi recenti mostrano questa unidimensionalità che caratterizza una parte significativa delle istituzioni europee e i media. Questo rende l’Europa ancora più indifferente rispetto ai singoli parlamenti nazionali. L’Europa è nata con strutture più burocratiche che politiche e ciò attenua l’attenzione politica alle vicende degli europei e della vita reale, per promuovere invece le tematiche più formaliste.

Si pensa spesso che a causa della crisi, dobbiamo guardare alla Cina come la panacea per le nostre economie e trattarla coi guanti…
Un atteggiamento del genere sarebbe miope. La Cina non è un’istituzione caritatevole colla quale avere il miglior rapporto possibile, nella speranza che essa dia una mano.
La Cina è un gigante economico, prima che istituzionale e politico; un gigante che non si pone remore di alcun tipo nell’espandersi economico; produce spesso in regime schiavistico e usando il lavoro dei minori. Questo stile si diffonde poi anche in troppe comunità cinesi in occidente.
Questa accondiscendenza verso di essa, in realtà si ritorcerà contro chi la mette in opera.
Io auspico non guerre o conflitti, ma una schiena diritta che potrebbe portare a mettere i puntini sulle “i” anche a costo di avere qualche fetta di mercato in meno. Tanto, non mi pare che finora, i vantaggi, anche sul piano delle aperture dei mercati, siano stati straordinari: ad ogni prodotto in più che si vende, corrisponde un brevetto in più che viene sottratto a noi.

Come è avvenuto nel caso della Da Vinci, la ditta cinese che vendeva mobili italiani, ma che in realtà produceva in Cina, con truciolato e vernici puzzolenti, facendo pagare i mobili come se fossero davvero importati…
Se non si mette in chiaro che vi sono delle regole e il rispetto dei diritti, diventa anche difficile mettere in atto delle regole da mantenere nella disciplina del mercato.

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