19/06/2018, 11.22
INDIA
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Ex braccio destro di Modi: ‘Mi dimetto dal Bjp. Il nazionalismo, danno per l’India’

Shivam Shankar Singh era il capo della campagna elettorale del partito nel 2013. “Il Bjp ha fallito in diversi settori, ma è incapace di accettare il fallimento”. Ogni critica viene etichettata come anti-nazionale e anti-indù. Inchieste federali sono motivate da scopi politici: “Così si uccide il dissenso”.

New Delhi (AsiaNews/Agenzie) – “Mi rifiuto di seguire chiunque voglia lasciare che la nazione bruci nella rivolta per guadagni politici”. È con questa motivazione che Shivam Shankar Singh, esponente di spicco del Bharatiya Janata Party (Bjp, partito nazionalista indù), ha deciso di dimettersi dal partito. Il giovane, istruito nelle migliori università americane, ha gestito la campagna elettorale del Bjp nel 2013, quella che ha portato alla vittoria di Narendra Modi. Nonostante egli ribadisca che ogni partito è contrassegnato da elementi sia positivi che negativi, ritiene che sia arrivato il momento di dire basta a “tutta la propaganda costruita per uno scopo ben preciso: polarizzare [la società] e vincere le elezioni”.

Secondo Singh, il partito ha organizzato una propaganda così efficace che “le persone continuano a sostenerlo a prescindere dai fatti”. In India il dibattito elettorale in vista della tornata del 2019 sta assumendo toni sempre più violenti. Dopo le critiche rivolte ad alcuni arcivescovi cattolici che chiedono di pregare per la nazione, ora a tenere banco sono le dimissioni del capo della comunicazione del partito. In un commento pubblicato sul suo blog, Singh spiega in maniera dettagliata le ragioni che lo hanno spinto a tale decisione.

Dapprima l’ex esponente del Bjp elenca i risultati positivi raggiunti in quattro anni di governo Modi, in particolare per l’incremento dei lavori pubblici: costruzione delle strade, campagna di distribuzione di bagni in luoghi pubblici e nelle case, maggiori collegamenti ferroviari e stradali con gli Stati del Nord-est. Per quanto riguarda la diffusione della rete elettrica, che il governo di Delhi ha presentato come un enorme successo, egli fa notare che Modi ha solo finito un’opera iniziata anni prima dal Congress. I numeri parlano chiaro: il partito di Sonia Gandhi ha portato la luce in 500mila villaggi, quello dell’attuale premier in 18mila.

Tra gli aspetti negativi del partito, Singh evidenzia “i rimborsi elettorali, che grazie all’anonimato hanno legalizzato la corruzione e permesso a grandi corporazioni e potenze straniere di comprare i partiti politici”. Poi parla “dell’abuso delle inchieste del Central Bureau of Investigation, che vengono utilizzate per scopi politici […]. Tutto questo è sufficiente a uccidere il dissenso, parte integrante della democrazia”. L’ex capo della comunicazione riporta anche i fallimenti delle politiche della “demonetizzazione” [il bando delle banconote da 500 e 1000 rupie], della tassazione unica per merci e servizi, del sistema educativo e sanitario. “Ancora peggiore – sottolinea – è l’incapacità del Bjp di accettare tali fallimenti”.

A tutto questo si aggiunge “un ben congegnato discorso nazionale che è una vera e propria strategia”. Qui fa riferimento “ai tentativi di screditare la stampa, tanto che ora ogni critica viene accantonata come un giornalista [invidioso perché] non pagato dal Bjp o che è sul libro paga del Congress”. Poi la “diffusione e la dipendenza dalle fake news” e la propaganda dell’“Hindu khatre mein hai: essi hanno inculcato nella mente delle persone che gli indù e l’induismo sono in pericolo, e che Modi è l’unica opzione per salvarci”.

Una simile strategia, sostenuta da canali televisivi di proprietà di esponenti del partito, ha prodotto la “polarizzazione” della società, della politica e delle emozioni. “Se parli contro il governo – conclude – sei anti-nazionale, o meglio ancora, anti-indù. Le critiche legittime al governo sono tutte messe a tacere con questa etichetta”.

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