07/06/2008, 00.00
ONU - MONDO
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Fame nel mondo, anche i paesi poveri hanno le loro responsabilità

di Anna Bono
Al summit FAO è emersa la tendenza a vedere nell’economia di mercato la causa della fame nel mondo e la paradossale proposta di tornare alle già fallimentari economie di sussistenza. Del tutto taciute, invece, le “colpe” delle nazioni in via di sviluppo, dove corruzione e malgoverno trasformano le ricchezze nazionali in beni personali delle leadership al potere a scapito della popolazione.
Roma (AsiaNews) - Si sono conclusi a Roma i lavori del summit FAO e del consueto Forum alternativo, quest’anno intitolato ‘Terra Preta’, espressione di decine di organizzazioni non governative e di associazioni di agricoltori, allevatori e pescatori. Per quanto riguarda il vertice FAO, fin dalle prime battute è stato evidente che non avrebbe prodotto nuove strategie di lotta alla fame. Sostanzialmente si è risolto in una richiesta di ulteriori fondi per realizzare programmi di assistenza e di sviluppo destinati alle popolazioni più povere del pianeta e quindi più colpite dall’aumento del prezzo dei generi alimentari.
 
Va rilevata a questo proposito una spiccata tendenza ad attribuire gran parte della responsabilità della crisi alimentare ai Paesi industrializzati ai quali si rimprovera di non aver devoluto finora abbastanza risorse in favore dei poveri e, inoltre, di aver imposto al mondo l’economia di mercato, ritenuta da molti dei presenti al summit e, si direbbe da tutti i partecipanti al Forum, la causa prima degli attuali problemi. Come ha più volte dichiarato Jean Ziegler, ex relatore ONU per il diritto all’alimentazione e ora esperto per il Consiglio dei diritti umani, l’errore fondamentale sarebbe da ricercare nelle disposizioni del Fondo monetario internazionale che ha costretto a sacrificare l’agricoltura di sussistenza alla produzione per il mercato.
 
Senza dubbio questo è l’aspetto più sconcertate emerso dalle giornate romane. Tutti sanno che le economie di sussistenza, oltre a determinare sistemi sociali autoritari, gerontocratici e patriarcali, sono per definizione economie fragili e spesso critiche, in ragione della loro bassissima capacità produttiva. Anche in condizioni ottimali, inoltre, assicurano appunto la sussistenza, certo non il soddisfacimento generale di bisogni ormai considerati diritti universali: dall’acqua potabile alla luce elettrica alla medicina moderna. La povertà è stata sconfitta là dove le economie di sussistenza sono state abbandonate e sostituite con economie produttive, la più efficace delle quali risulta essere in effetti quella capitalistica e di mercato.
 
Sembra evidente, poi, che fin quando le conferenze ONU continueranno a puntare il dito soltanto contro i Paesi ricchi omettendo di chiedere conto ai leader di quelli in via di sviluppo del loro modo di governare, grandi successi nella lotta alla povertà non potranno essere ottenuti. Ai limiti imposti delle economie di sussistenza si aggiunge, nel Sud del mondo, il danno immenso causato dalla pessima amministrazione delle risorse esistenti. In tanti Stati, soprattutto in Africa e Asia, corruzione e malgoverno trasformano le ricchezze nazionali, a volte ingentissime, in beni personali delle leadership al potere che ne dispongono a loro arbitrio, usandole per consolidare il proprio status e dedicarsi a sprechi e consumi sfrenati. Se è impossibile calcolare l’ammontare dei beni sottratti alla collettività da regimi come quelli di Myanmar e Corea del Nord, recenti aperture democratiche lo hanno permesso ad esempio in Nigeria: un caso particolarmente significativo trattandosi di uno dei maggiori produttori di petrolio del mondo. Lo scorso anno la Commissione per i crimini economici nigeriana ha rivelato che dal 1960, anno dell’indipendenza, la corruzione ha sottratto ai fondi pubblici circa 350 miliardi di dollari ed è stata perciò il principale ostacolo allo sviluppo. Non da meno è l’Angola: secondo la Banca Mondiale, tra il 1997 e il 2002 più di un quarto dei 18 miliardi di dollari ricavati dall’industria petrolifera è svanito nel nulla. Nel solo 2001 sono spariti 900 milioni di dollari, pari al triplo del valore degli aiuti umanitari ricevuti in quell’anno.
 
È chiaro che situazioni del genere vanificano qualsiasi iniziativa di cooperazione allo sviluppo. Proprio per questo motivo sorprende il sostanziale silenzio in merito registrato al Forum ‘Terra Preta’, portavoce di coloro che maggiormente soffrono a causa dell’irresponsabilità e del cinismo dei regimi più corrotti, e dove invece si è assistito all’altrettanto sorprendente rigetto di formule collaudate di innovazione in campo agricolo quali, ad esempio, la “rivoluzione verde”.
 
 
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