10/04/2012, 00.00
CINA
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Fang Lizhi, lo scienziato che fece germogliare il movimento di Tiananmen

di Chen Weijun
Il “Sakharov della Cina” è morto in Arizona dopo un esilio lungo 22 anni: pur non avendo preso parte attivamente ai moti del 1989, era considerato uno dei massimi ispiratori dei temi democratici che fecero nascere il movimento popolare. Wang Dan, dissidente anche lui in esilio, lo definisce “un genio” e si appella al governo: “Fateci tornare a casa, anche solo per vedere le nostre famiglie”.

Pechino (AsiaNews) - Fang Lizhi "era un tesoro per la Cina, ma non ha potuto morire nel suo Paese ed è stato costretto a vivere in esilio. Spero che il popolo cinese non dimentichi mai il pensatore che era, l'uomo che ha ispirato la generazione dell'89 ed ha risvegliato nella gente il desiderio per i diritti umani e la democrazia. Un giorno, ne sono sicuro, persino il governo cinese sarà orgoglioso di lui: da origini umili ha combattuto fino a divenire uno dei pionieri cinesi nel campo della teoria dei laser". È il ricordo di Fang pubblicato su internet da Wang Dan, dissidente di spicco anche lui in esilio.

Lo scienziato, uno dei massimi ispiratori delle proteste di piazza Tiananmen del 1989, è morto in esilio negli Stati Uniti a 76 anni. Era fuggito dalla Cina subito dopo la repressione del movimento democratico, cercando rifugio nel consolato americano di Pechino il 12 giugno dell'89. Ottenuta l'ospitalità americana aveva lavorato come professore di Fisica presso l'Università dell'Arizona, Stato in cui viveva. Insieme alla moglie Li Shuxian, era considerato uno dei "massimi ricercati" dal governo comunista.

Prima dei moti di piazza, Fang era uno dei più importanti docenti di astrofisica all'Università di Scienza e Tecnologia della Cina. A causa delle sue idee liberali - che hanno ispirato il movimento democratico studentesco nel 1986-87 - venne espulso dall'università e dal Partito comunista. Proprio dalle sue idee germogliarono i temi delle proteste di Tiananmen, nelle quali però non ebbe alcun ruolo pubblico. Subito dopo le 7 settimane di manifestazioni e il massacro che portò alla morte di centinaia di giovani, Fang e la moglie si rifugiarono per un anno nell'ambasciata americana di Pechino.

Accusato di "crimini controrivoluzionari", puniti con la morte, rimase in Cina fino al giugno del 1990: gli venne permesso di andare in America per "motivi di salute", anche se molti videro nella concessione una apertura nei confronti di Washington, che aveva minacciato dopo Tiananmen la rottura dei rapporti diplomatici. Pechino disse che la coppia "aveva mostrato segnali di pentimento" nel resoconto firmato dallo scienziato prima della partenza, ma Fang li smentì: "Non c'è una parola che ammetta errori o confessi un crimine".

In esilio incontrò Giovanni Paolo II, diversi presidenti americani e buona parte della comunità scientifica internazionale. Fang divenne noto come il Sakharov della Cina e il suo contributo alla causa democratica, scrive ancora Wang, "non sarà mai dimenticata".

Lo stesso Wang, insieme ad altri 5 dissidenti in esilio (Hu Ping, Wang Juntao, Wuer Kaixi, Wu Renhua e Xiang Xiaoji, tutti coinvolti nei moti di Tiananmen), ha scritto poi al governo cinese per chiedere di poter tornare in patria. Nella lettera si legge: "A causa di motivi politici ci è stato revocato il passaporto. Ma noi crediamo che poter tornare nella propria patria sia un diritto inalienabile di ogni cittadino. Come governanti, non potete privarci di questo diritto a causa di differenze nella visione politica. I diritti umani e la democrazia sono desideri del popolo cinese. Noi vogliamo un canale di dialogo con il governo per risolvere questo problema".

La richiesta dei dissidenti di Tiananmen cade a poche settimane dalla proposta di Wen Jiabao di poter rivedere il giudizio sul movimento di Tiananmen, bollato finora come "controrivoluzionario". Wen avrebbe anche proposto una piena ricompensa ai familiari delle vittime del massacro (cfr. 06/04/2012 Dopo Bo Xilai: l'obbedienza al Partito e l'appello alle riforme).

 

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