25/01/2016, 14.48
INDIA
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Festa della Repubblica: dietro il terrorismo e l’enfasi dello sviluppo, l’India nasconde le sue piaghe

di p. Anthony Charanghat

Domani l’India celebra il 67mo anniversario della Repubblica. In tutto il Paese si svolgeranno festeggiamenti, ma si temono attentati. Direttore settimanale dell’arcidiocesi di Mumbai: “La politica deve ricordare che la nostra democrazia è uno Stato basato sul diritto”. La necessità di riscoprire i caratteri multiculturale e multireligioso del popolo indiano.

Mumbai (AsiaNews) – L’India celebra domani 26 gennaio il 67mo anniversario della Repubblica. Manifestazioni sono attese in tutte le principali città e il culmine dei festeggiamenti sarà una parata a New Delhi. Quest’anno però il clima di gioia è rovinato dall’allerta terrorismo, acuito da una serie di arresti avvenuti alla vigilia delle celebrazioni. Anche il presidente francese Francois Hollande, ospite d’onore, è stato bersaglio di minacce personali. L’attenzione dei festeggiamenti è concentrata oltre che sul terrorismo anche sull’enfasi ai programmi di sviluppo economico lanciati dal premier Modi.

P. Anthony Charanghat, direttore del settimanale “The Examiner” pubblicato dall’arcidiocesi di Mumbai, sottolinea come gli slogan altisonanti del governo celino le sofferenze del popolo indiano. Ancora oggi mentre Modi lancia il progetto “Digital India”, molti vivono senza acqua e senza elettricità. Le minoranze religiose ed etniche, i poveri e gli emarginati rischiano di essere messi sempre più ai margini della società con progetti che mirano solo ad attrarre investimenti, senza una visione etica dello sviluppo. Attivisti e scrittori dissidenti vengono aggrediti e la loro libertà di pensiero repressa con la forza. Di seguito l’editoriale di p. Anthony, dal titolo “Rivedere i nostri diritti come Repubblica”. Traduzione a cura di AsiaNews.

L’India sta per celebrare il suo 67mo anno come Repubblica democratica e nazione sovrana. In questa occasione dobbiamo rendere omaggio ad Ambedkar, a 125 anni dalla sua nascita, la cui nobile visione ha reso possibile porre l’uguaglianza sociale, la giustizia sociale e la laicità come obiettivi fondatori della Repubblica democratica dell’India. Se esiste qualcosa di vero in questa affermazione, allora il nostro Paese deve essere una democrazia basata sul rispetto dello stato di diritto. Coloro che sono alla guida del governo devono trattare tutti i cittadini allo stesso modo, sia che si tratti della persona più povera o il politico più potente o una persona famosa.

Sta diventando sempre più evidente che ci sono molte persone in India il cui diritto al dissenso è minacciato, le loro voci messe a tacere, le loro vite poste sotto intimidazione. Chi è al potere in India può parlare a nome di qualche tipo di maggioranza, ma non deve invalidare l’opposizione o permettere a qualcuno – di qualsiasi colore politico – l’arroganza di negare i diritti del popolo repubblicano. Ciò equivale a essere intollerante, che è esattamente l’opposto di uguaglianza.

Un banco di prova cruciale per una vera democrazia è se essa protegge i diritti delle minoranze, in particolare quando c’è tensione tra autorità di governo e minoranze politiche o confessionali, minoranze regionali o di genere. Una democrazia fiorisce solo quando voci divergenti di individui e professionisti possono esprimersi senza freni nel loro campo rispettivo – educazione, sanità e religione. Essi possono lavorare senza timore o favore di una ingiustificata interferenza politica e della reazione ufficiale o populista.

L’attacco contro attivisti, Ong o altri che contestano lo sviluppo solo economico e non generale, è avventato e sta danneggiando la nostra struttura democratica e la cultura agraria. Le persone impegnate per il benessere delle comunità emarginate, l’ambiente o per sconfiggere la sofferenza dei nostri contadini nelle aree rurali vengono bollate come “anti-nazionali” dai nazionalisti con un senso del tutto deformato di ciò che è il vero interesse nazionale.

Il progetto della campagna “Digital India”, così come viene sottolineato anche nel sito del governo indiano, ha al suo fulcro l’obiettivo ambizioso e ammirevole di “responsabilizzare i cittadini”. Ma in esso è presente anche un potenziale di de-responsabilizzazione, a causa del divario tra coloro che hanno l’accesso alla tecnologia internet e coloro che ancora oggi in India non hanno elettricità e acqua.

Il molto pubblicizzato pesante investimento nelle infrastrutture digitali amplierà ancora di più questo divario, e con esso anche le disparità socio-economiche. Non c’è segno di politiche in corso volte a ridurre o eliminare l’abisso delle profonde disuguaglianze. La campagna Digital India è molto più interessata al marchio piuttosto che focalizzarsi sulla sostanza e i costi.

Il “Make in India” – un altro tormentone pervasivo che strombazza una “vibrante chiamata” dell’India agli investitori – è promettente, ma non è ben pensato. “Make in India” non è un romanzo o un’inversione di marcia su come dovrebbe essere l’economia indiana. Esso è una semplice accentuazione (più evidente, sfacciata e risoluta) della linea politica che domina i discorsi fin dagli anni Novanta. Esso rappresenta un significativo peggioramento dell’emarginazione economica dei poveri e dei vulnerabili, sia nel caso in cui abbia successo sia nel caso in cui dovesse fallire.

La campagna “Start Up India” è stata accolta dai giovani imprenditori come un movimento in grado di accelerare il mercato, guidato dalla tecnologia e dai diritti di proprietà intellettuale, con fondi e riduzioni fiscali per colmare le lacune nella nostra economia. Raghuram Rajan, capo della Reverve Bank of India [banca centrale dello Stato, ndr] mette in guardia contro l’ossessione di trasformare l’India in un’economia manifatturiera, perché sa che [tale trasformazione] non funzionerà, data l’attuale situazione economica, la mancanza di brevetti, e l'incapacità di costruire infrastrutture adeguate come gli altri paesi asiatici.

Abbiamo bisogno di scoprire i nostri punti di forza originari, sviluppare le capacità intrinseche e dedicare la complessità dei talenti autoctoni del nostro popolo multireligioso e multiculturale nel costruire una nazione repubblicana vibrante, plurale e democratica.

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