09/10/2008, 00.00
IRAQ
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Fondamentalisti islamici: “cacciamo i cristiani da Mosul”

Ieri è stato freddato a colpi di pistola un caldeo di 38 anni, ma le vittime potrebbero essere tre. Per la città girano auto che lanciano slogan contro i cristiani, minacciando altre stragi e violenze. Dal comando Usa la conferma che Mosul è diventata l’ultima roccaforte dei militanti di al Qaeda.

Mosul (AsiaNews) – Jalal Moussa, 38 anni, è l’ultima vittima della campagna di odio lanciata dai fondamentalisti islamici contro i cristiani a Mosul, teatro di un “martirio senza fine” nel silenzio dei media e della comunità internazionale. Jalal, cristiano di rito caldeo, è stato ucciso a colpi di pistola davanti alla sua abitazione nel quartiere di al Noor, lo stesso in cui nel giugno 2007 venne ammazzato P. Ragheed Gani assieme a tre diaconi e dove è stato rapito mons. Paulo Farj Rahho. Il sequestro del vescovo di Mosul alla fine di febbraio si è poi concluso in maniera tragica, due settimane più tardi, con il ritrovamento del cadavere in un terreno abbandonato fuori città.

Fonti di AsiaNews rivelano che “vi potrebbero essere altre due vittime”, ma al momento non si hanno ulteriori dettagli sulla loro identità e sulle modalità con le quali è avvenuto l’agguato.

Non si ferma la striscia di sangue a Mosul: in meno di una settimana sono morte nove persone perché fedeli di religione cristiana. Dalla cittadina della provincia di Ninive arrivano drammatici appelli in cui si chiede “di non far calare il silenzio” sulle continue stragi. “C’è in atto una campagna per far fuggire i cristiani dalla zona – rivela la fonte ad AsiaNews – tanto che ieri una macchina con altoparlante girava per le vie del quartiere di Sukkar, ordinando ai cristiani di andarsene”. “Cristiani via dalla città – urlavano le persone a bordo – altrimenti sarete vittima di altri attacchi”.

La persecuzione contro i cristiani potrebbe nascondere risvolti di carattere politico ed economico, che si intrecciano con l’elemento confessionale alla base delle violenze commesse da parte del mondo islamico fondamentalista e jihadista. Alcune fra le vittime dei giorni scorsi erano proprietari di negozi e attività commerciali a Mosul, chiaro segnale lanciato dai terroristi che mirano ad azzerare le attività economiche dei cristiani, costringendo la popolazione ad andarsene. Ma non si esclude nemmeno un movente politico: secondo alcune testimonianze, prima di sparare i terroristi accusano i cristiani di “voler creare un’enclave a Ninive” e poi procedono con l’esecuzione a sangue freddo. Una conferma della pericolosità della città, nella quale operano bande di terroristi legate ad al Qaeda, arriva anche dal comando militare americano: “Al Qaeda sta cercando di mettere piede in Iraq – rivela il generale Mark Hertling, comandante delle truppe Usa nel nord dell’Iraq – e Mosul è la base operativa che hanno scelto per lanciare i loro attacchi”, infiltrando militanti stranieri dall’Arabia Saudita, dalla Giordania, dallo Yemen e dal Pakistan attraverso il confine con la Siria.

Mosul, del resto, è una delle località escluse dalla tornata elettorale in programma a gennaio e solo in un secondo momento dovrebbe svolgersi un referendum, in cui si dovrà stabilire il destino di tutta la regione, al centro di una lotta fra la comunità curda e la controparte araba. Un fattore non di poco conto, se si considerano gli ingenti quantitativi di petrolio racchiusi nel sottosuolo e in attesa di essere sfruttati; il voto dei cristiani potrebbe risultare decisivo per far pendere l’ago della bilancia da una o dall’altra parte.

Il progetto inerente alla "piana di Ninive" - dove si vorrebbe creare una enclave in cui trovino rifugio i cristiani dell’Iraq - è stato al centro di strumentalizzazioni e polemiche ed è osteggiato dalla maggioranza della Chiesa irachena; l'enclave potrebbe infatti trasformarsi in una sorta di ghetto dove rinchiudere i profughi in fuga da Baghdad, Mosul, Kirkuk e Bassora. Il pericolo è che diventi “un ghetto per cristiani – così mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, definiva il progetto nel giugno del 2007 – e un focolaio di rivolte, scontri e tensioni sociali come avviene oggi in Palestina”. Per questo la Chiesa ha sempre promosso una “convivenza all’insegna della pace e del rispetto reciproco”, fra popolazioni che sono "radicate per storia e tradizione alla patria irachena".

Le violenze delle ultime settimane a Mosul hanno spinto sempre più persone ad abbandonare la città. Secondo stime dei cristiani locali, “ogni settimana più di 20 famiglie decidono di fuggire”. Un esodo che “ha svuotato interi quartieri” dalla presenza cristiana, “nell’indifferenza dei media e dei governi occidentali”.(DS) 

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