23/08/2005, 00.00
ISRAELE- PALESTINA
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Futuro incerto per Gaza e Israele

di Arieh Cohen

Gerusalemme (AsiaNews) – Nei giorni scorsi è divenuto sempre più certo che Israele aveva preso una strada nuova: le foto che hanno fatto il giro del mondo hanno mostrato a tutti la polizia e i soldati d'Israele trascinare i coloni fuori dalla striscia di Gaza, con "sensibilità e fermezza", come hanno ordinato i capi. Forse la "sensibilità" è andata oltre, ma quanto a "fermezza" non c'è stato dubbio.

Nel suo discorso televisivo alla nazione, il Primo ministro Ariel Sharon ha detto con chiarezza che non vi è futuro per gli insediamenti israeliani dentro la Striscia di Gaza, circondata da oltre un milione (alcuni dicono un milione e mezzo) di palestinesi oppressi e furiosi. In sé questa constatazione era quasi ovvia, ma dal 1967 nessun governo israeliano sembrava desideroso di capirlo. Lo stesso Sharon vi è giunto due anni fa, quando ha deciso il ritiro dell'esercito e dei coloni dalla Striscia.

Il mondo intero applaude a questo passo e ne segue ansioso l'attuazione. Il processo non è ancora completo, ma si possono già fare alcune osservazioni:

1) Non è per nulla sicuro ciò che succederà nella Striscia ora che tutti i coloni e l'esercito di Israele si ritirano. Ci si aspetta che l'Autorità Palestinese (AP) prenda il controllo dell'intero territorio e, con l'aiuto internazionale, rianimi la sua economia e migliori di molto la vita dei suoi abitanti. Ma nulla di tutto ciò è certo. L'organizzazione islamista armata Hamas, bollata da Israele, gli Usa e altre nazioni come un'organizzazione terrorista – e in effetti si è auto-proclamata autrice di numerosi attentati terroristi contro Israele – è molto forte nella Striscia di Gaza: coni suoi gruppi armati (la milizia Murabitun) essa ha ogni intenzione di voler essere per lo meno un partner alla pari con l'AP nel governo di Gaza. Israele e gli usa si aspettano che l'AP e il suo presidente Mahmoud Abbas ("Abu Mazen") disarmi Hamas e si affermi come esclusiva autorità della Striscia. Ma ciò sembra improbabile. Occorrerebbe scatenare una guerra civile per la quale Abbas non ha voglia, anche perché potrebbe perderla, data la situazione anarchica delle forze di sicurezza dell'AP, in continua lotta fra di loro. Lo sviluppo economico di Gaza, poi, dipenderà in misura considerevole da quanta libertà Israele concederà ad essa in termini di libertà di accesso nello stato. Il fatto che l'esercito israeliano non sarà più stazionato in permanenza nel territorio, non significa la fine del ruolo di Israele come potere occupante. Israele continuerà a controllare lo spazio aereo, l'accesso via mare e – in una certa misura - quello via terra. Quanto più l'AP sarà debole, tanto più stringente sarà il controllo che Israele penserà di attuare per la sua sicurezza, in modo da evitare che Gaza divenga – come molti critici di Sharon dicono – una vasta base terrorista.

2) In questo momento un grande sostegno dalla popolazione palestinese va ad Hamas: esso rivendica il ritiro di Israele da Gaza come frutto della sua lotta armata, mentre – essi dicono -  l'impegno dell'AP nei negoziati di pace con Israele non ha prodotto nessun risultato. Per questo Hamas ha promesso che userà le stesse tattiche, con maggiore forza, per far finire anche l'occupazione della West Bank. Che lo faccia o no, occorre rafforzare la credibilità dell'AP e il suo impegno a una risoluzione pacifica del conflitto con Israele. Questo può avvenire solo se  Israele si accorda per aprire i negoziati con l'AP. Ma Israele rifiuta di fare questo finché l'AP non disarmerà Hamas e le altre organizzazioni armate. Questo, a sua volta, è difficile da ottenere prima che l'AP guadagni credibilità presso la sua gente, ottenendo la libertà attraverso un trattato di pace negoziata. Ciò che succederà di qui a fra poco,  è impossibile da prevedere.

3) Quel che è certo è che il ritiro da Gaza, in sé non renderà più facile la soluzione al conflitto Israelo-Palestinese, se Israele continua ad occupare e aprire colonie nella West Bank. Perché il ritiro da Gaza sia un contributo alla soluzione del conflitto, è necessario che esso sia seguito da uno sforzo coerente per giungere a un trattato di pace globale.

4) Non tutti sono d'accordo nel ritenere realistica questa prospettiva. Sharon e il suo predecessore Ehud Barak (che spera di riprendere la leadership del partito laburista) non credono che una pace negoziata sia possibile e sembrano decisi verso una soluzione unilaterale. Sharon sembra che la stia attuando anche nella West Bank, attraverso la costruzione del il Muro. I territori a ovest del Muro, diverranno parte di Israele. Ad un certo punto Israele ritirerà i suoi soldati e coloni dalla terra ad est del Muro, in modo unilaterale, proprio come ha fatto a Gaza, mantenendo un controllo militare globale nella misura necessaria alla sua sicurezza. Sembra questa l'"idea": Sharon di per sé ha solo detto che "grandi blocchi di insediamenti" diverranno parte di Israele, mentre ci si dovrà ritirare da altri insediamenti "isolati". Lo smantellamento di 4 insediamenti nel nord della Cisgiordania, programmato in questi giorni, può essere visto come una specie di "progetto pilota".

5) Lo strazio dei coloni che vengono evacuati da Gaza, una coreografia ben preparata in modo fanatico e meticoloso, è stato qualcosa di buono per le televisioni mondiali. Essa non ha però accresciuto la simpatia o almeno l'interesse della maggioranza degli israeliani. Tutto ciò è un dato importante. L'estrema destra in Israele aveva sperato di scatenare una vera e propria rivolta contro il governo Sharon e a favore degli insediamenti. E invece ha fallito miseramente. Questo dato avrà la sua importanza quando un futuro governo dovrà decidere lo smantellamento degli insediamenti nella West Bank, come richiesto da un trattato di pace con la Palestina. Una larga maggioranza degli israeliani  non sostiene la colonizzazione dei Territori occupati. Un numero sempre maggiore di israeliani capiscono quanto il Primo Ministro ha suggerito nel suo discorso alla nazione: che gli enormi investimenti per gli insediamenti negli ultimi decenni, sono avvenuti al prezzo di dimenticare i bisogni reali della società israeliana; se sempre più israeliani scivolano oggi al di sotto della linea della povertà, ciò è dovuto alle mega- risorse sacrificate sull'altare degli insediamenti.

6) Le leadership di Israele e Palestina devono far fronte a tutti questi elementi fin qui detti. Ma devono farlo anche la comunità internazionale e soprattutto gli Stati Uniti, l'unico potere che può davvero influenzare questi eventi. Ogni partecipante a questo dramma in svolgimento ha una responsabilità specifica. Nel futuro immediato, la responsabilità più grave pesa forse sull'AP. Essa deve mostrare che è davvero capace di governare la Striscia di Gaza in modo effettivo. Dovrà anche attuare quelle riforme, promesse da anni, per eliminare la corruzione endemica che l'ha allontanata dal suo stesso popolo; unificare le proprie forze di sicurezza; prevenire il terrorismo; impegnarsi in modo credibile per il diritto del suo popolo alla libertà. Ma la sua capacità di fare tutto questo dipende in buona misura da Israele. E ciò che Israele farà dipende in qualche modo dagli Stati Uniti… Ciò significa che in questo momento, nulla è davvero sicuro, se non l'incertezza.

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