20/10/2010, 00.00
GIAPPONE
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Giappone, l’impegno cattolico nella pastorale per i malati terminali

Il Garashi Hospital è un “hospice” cattolico, una struttura che assiste i malati negli ultimi giorni di vita. Festeggiando i primi cinque anni di attività il direttore, p. Matsumoto, racconta la cura del cuore e dello spirito di chi se ne sta andando, con un’attenzione particolare per i familiari.

Osaka (AsiaNews/Cbcj) – Curare il corpo e lo spirito, “continuando la missione pastorale soprattutto per quelle persone che si stanno accostando alla morte”. È questo lo scopo principale della rete di “hospice” cattolici, le case per malati terminali che ospitano chi in ospedale non può essere più curato. Lo ha spiegato  p. Nobuyoshi Matsumoto, che guida l’hospice Garashia, nell’incontro convocato per festeggiare i 5 anni dell’istituto.

In tutto il Giappone esistono soltanto 195 “unità di cure palliative”, note comunemente come “hospice”. Si tratta di 3.839 posti letto, un numero molto basso se si considera che un terzo dei decessi totali nel Sol Levante è causato da malattie terminali come il cancro. Nell’arcidiocesi di Osaka, dove opera p. Matsumoto, ci sono 2 “hospice” cattolici: il Garashia e il St. Mary. Il primo è stato aperto nell’aprile del 2005, e per la festa dei suoi 5 anni sono accorse più di 400 persone.

Alle persone riunite, per lo più operatori sanitari e parenti di ex ricoverati ora defunti, il sacerdote ha detto: “Perché gli hospice in Giappone sono così pochi? Non certo perché siano inutili, ma perché è ancora forte una certa cultura della morte che va sradicata. Il primo scopo di un ospedale comune è quello di curare i pazienti: ma se una persona è malata di cancro, a un certo punto le terapie divengono inutili. In quel caso, l’ospedale comune non può fare altro che allontanare la persona: ma questa, spesso, finisce per morire in condizioni molto dure”.

“L’hospice – prosegue il sacerdote – esiste proprio per colmare questa situazione. La parola stessa, che unisce i termini inglesi per albergo e ospite, dimostra il suo scopo: accogliere con calore, con un abbraccio il malato terminale. In un certo senso, l’hospice è un albergo con dottori, infermiere, farmacisti, nutrizionisti e fisioterapisti: un posto dove trascorrere gli ultimi giorni con la migliore situazione sanitaria possibile, nella pace della propria famiglia”.

Il Garashia, sottolinea p. Matsumoto, “ha una media di occupazione dei propri posti letto pari al 90%. Servono altri posti così, anche perché fino a che è possibile si cerca di aiutare il paziente a mantenere la propria normalità: li accompagniamo nella loro casa, al cinema, a mangiare fuori e persino nelle case del tè. Li spingiamo a continuare a curare i loro animali domestici e a compiere quelle attività che facevano parte della vita di tutti i giorni”.

La caratteristica più importante dell’hospice, conclude, “è curare il cuore e lo spirito. È la pastorale per chi se ne sta andando, la cosa per noi più importante. Non ci scordiamo neanche di coloro che hanno avuto una perdita: una volta al mese si svolge lo Yurinokai, un incontro per i familiari che hanno subito un lutto. Da noi sono sempre i benvenuti”. 

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