17/06/2016, 08.57
YEMEN - EAU - A. SAUDITA
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Gli Emirati pronti a ritirare le truppe in Yemen, la guerra “è finita”

Parte della coalizione saudita, i vertici degli Eau sono in procinto di abbandonare il campo di battaglia. In 15 mesi gli Emirati contano almeno 80 morti. Per il ministro degli Esteri è tempo di “monitorare accordi politici” e rafforzare gli yemeniti “nelle zone liberate”. Ma gran parte degli Paese è ancora sotto il controllo dei ribelli Houthi. 

 

Abu Dhabi (AsiaNews/Agenzie) - Gli Emirati Arabi Uniti (Eau) sono pronte a ritirare le loro truppe, parte della coalizione araba a guida saudita, dal conflitto in Yemen. Dopo 15 mesi e almeno 80 morti, i vertici del Paese del Golfo hanno dichiarato che - per loro - la guerra “è finita”. Un ministro del governo ha dato l’annuncio ufficiale, che il principe ereditario dell’emirato di Abu Dhabi ha poi postato sul proprio account ufficiale di twitter, rilanciandolo. 

Intanto gran parte dello Yemen, compresa la capitale Sanaa, resta nelle mani dei ribelli Houthi.

Sostenute dall’Iran, le milizie sciite locali erano l’obiettivo dichiarato della coalizione della guida saudita. Tuttavia, mesi di intensi combattimenti e violazioni ai diritti umani - fra cui l’accusa Onu, poi ritrattata, di aver compiuto stragi fra i civili, soprattutto bambini - non hanno scalfito la resistenza dei ribelli.

Piuttosto, gli attacchi hanno causato una escalation di violenze e confusione, contribuendo all’avanzata di gruppi jihadisti che si sono macchiati di crimini gravissimi e massacri, come l’assalto alla casa di risposo gestita dalle suore ad Aden, nel sud. 

Anwar Gargash, ministro degli Emirati per gli Affari esteri afferma che “il nostro punto di vista è chiaro: la guerra è finita per le nostre truppe, stiamo monitorando accordi politici (e) il rafforzamento degli yemeniti nelle zone liberate”. Il suo intervento è avvenuto nel contesto di un incontro con ambasciatori stranieri e alti funzionari, fra cui il principe ereditario Sheikh Mohammed bin Zayed al-Nahyan. Quest’ultimo è anche vice-comandante supremo delle Forze armate; l’intervento in Yemen è il primo al di fuori dei confini nazionali nella storia del Paese. 

Dal gennaio dello scorso anno la nazione del Golfo è teatro di un sanguinoso conflitto interno che vede opposte la leadership sunnita, sostenuta dall’Arabia Saudita, e i ribelli sciiti Houthi, vicini all’Iran. Nel marzo 2015 i sauditi, a capo di una coalizione araba, hanno lanciato raid aerei contro i ribelli nel tentativo di liberare la capitale Sana’a e riconsegnare il Paese al presidente (prima in esilio, poi rientrato) Abdu Rabu Mansour Hadi.

L’offensiva guidata da Riyadh ha saputo cacciare i ribelli dalle città del sud, dove il governo guidato da Hadi ha istituito la propria base; i ribelli sono riusciti però a mantenere il controllo di gran parte degli altipiani del nord e del centro del Paese, così come la costa sul mar Rosso. 

Per l’Arabia Saudita gli Houthi, alleati alle forze fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, sono sostenuti sul piano militare dall’Iran; un’accusa che Teheran respinge. Nel Paese sono inoltre attivi gruppi estremisti legati ad al Qaeda e milizie jihadiste legate allo Stato islamico, che hanno contribuito ad aumentare la spirale di violenza e terrore.

Secondo fonti dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nella guerra sono morte almeno 6.400 persone, anche se alcune fonti contano quasi 10mila vittime e 16mila feriti. Per le Nazioni Unite, che hanno promosso colloqui di pace in Kuwait finora senza risultati, vi è il forte rischio di “catastrofe umanitaria” in Yemen.

 

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