31/05/2016, 14.26
MYANMAR
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Gli esuli politici birmani potranno tornare in patria, ma “servono più riforme”

Il nuovo governo della Nld farà rimpatriare entro 100 giorni gli attivisti cacciati dalla giunta militare. Bosco Saw Thu Ya Aung, membro del National Youth Congress: “Non si raggiungerà la piena democrazia finché vi saranno prigionieri politici, bisogna liberarli”. I giovani protagonisti del processo di riconciliazione nazionale: “Purtroppo però ci sono ancora restrizioni sulla loro partecipazione alla politica”.

 

Naypyidaw (AsiaNews) – Gli oppositori politici in esilio potranno rientrare in Myanmar. Lo afferma Kyaw Tin, vice ministro degli Esteri, specificando che coloro che sono stati inseriti nella “lista nera” dalla giunta militare nei decenni passati potranno rimpatriare nei prossimi 100 giorni, esclusi quelli che hanno commesso crimini in Myanmar. Commentando la notizia, Bosco Saw Thu Ya Aung, attivista cattolico e membro del National Youth Congress birmano, riconosce che questo “è un segno della buona volontà del nuovo governo di proseguire verso un processo democratico, anche se per ottenere questo sono necessarie la liberazione dei prigionieri politici e alcune riforme della Costituzione”.

Sono migliaia gli studenti, ex detenuti politici e rifugiati di guerra fuggiti all’estero dopo le proteste pro-democrazia del 1988. La risposta violenta della giunta militare ha portato alla politica isolazionista adottata da Naypyidaw. La maggior parte degli esuli risiede negli Stati Uniti, in Europa, Nuova Zelanda, Corea del Sud, Singapore e Giappone. Kyaw Tin ha anche detto che il ministero degli Esteri sta pensando di cambiare le regole sui documenti, per permettere di riacquistare la cittadinanza birmana a coloro che l’hanno persa.

Nel 2012 l’ex presidente Thein Sein aveva già invitato la diaspora birmana, che “per motivi diversi” aveva abbandonato il Paese, a ritornare in Myanmar. Gli esuli avevano rifiutato l’invito perché non vi erano “miglioramenti concreti” nel mondo del lavoro, nelle strutture sanitarie, nel campo dell’istruzione.

Secondo Bosco Saw Thu Ya Aung, ex leader del National Catholic Youth, un vero progresso democratico richiede “riforme che modifichino alcuni articoli della Costituzione, come il 18 e il 505 (b)”. Questi ultimi, che regolamentano gli assembramenti pubblici, sono stati spesso utilizzati dal governo filo-militare per punire i difensori dei diritti umani, gli attivisti politici e i manifestanti.

Oltre alla questione degli esuli politici, continua l’attivista cattolico, “bisognerebbe proteggere la libertà di espressione e l’attività degli attivisti politici. Purtroppo ci sono ancora restrizioni sulla partecipazione dei giovani al processo di pace. Per questo spero che il governo raggiunga una riconciliazione nazionale, che non può essere completa senza il contributo dei giovani, visto che alcuni conflitti vengono ereditati di generazione in generazione”.

Secondo l’Assistance Association for Political Prisoners (Aapp, fra i più importanti gruppi della dissidenza in Myanmar) nel Paese ci sono 121 prigionieri politici che hanno già ricevuto una sentenza e 414 il cui processo è ancora in corso. Lo scorso aprile Aung San Suu Kyi, leader della Lega nazionale per la democrazia, vincente alle ultime elezioni, ha annunciato che il nuovo governo rilascerà “prigionieri, attivisti e studenti che stanno scontando pene in carcere il più presto possibile”.

 

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