05/10/2010, 00.00
IRAQ
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Governatore di Mosul: “ultima chance per la democrazia” in Iraq

Atheel al-Nujaifi, sunnita, critico verso il premier uscente al-Maliki, che cerca alleanze con i radicali sciiti e i curdi: indirizza il Paese “verso la dittatura”. Egli esclude però il timore di violenze confessionali, perché “la popolazione non ne può più”. A Baghdad il fronte sunnita vicino ad Allawi apre a Maliki: al primo la presidenza, con più poteri e il secondo confermato premier.
 Baghdad (AsiaNews/Agenzie) – “L’ultima chance per la democrazia” in Iraq potrebbe fallire se l’attuale premier uscente Nouri al-Maliki, sciita, insisterà nel voler mantenere l’incarico, nonostante la sconfitta di misura alle elezioni parlamentari del marzo scorso. È quanto afferma Atheel al-Nujaifi, governatore di Mosul e politico sunnita di primo piano, secondo cui il Paese è “indirizzato verso la dittatura” se il capo dell’esecutivo promuoverà un’alleanza con le frange estremiste sciite e i curdi. Intanto dal fronte sunnita a Baghdad arriva una parziale apertura ad al-Maliki: sostegno politico e la carica di Primo Ministro, in cambio della Presidenza – con maggiori poteri rispetto alle attuali competenze – per Ayad Allawi, uscito vincitore (di poco) all’ultima tornata elettorale.
 
In una recente intervista alla Associated Press Atheel al-Nujaifi, governatore sunnita della regione di Mosul – nord dell’Iraq, al centro di una lotta sanguinaria fra arabi, curdi e turcomanni – parla di “ultima chance” per la democrazia irakena, che rischia di fallire se lo sciita al-Maliki, sconfitto alle urne, cercherà alleanze con fondamentalisti sciiti e curdi. Nei giorni scorsi i fedelissimi del leader radicale sciita Moqtada al Sadr hanno ipotizzato il loro sostegno al premier uscente (v. foto); ma è una fiducia limitata nel tempo e che preoccupa Washington: gli Stati Uniti, infatti, hanno sempre lottato contro il movimento saadrista e il suo leader.
 
Dal suo ufficio di Mosul, al-Nujaifi, esponente del partito laico Iraqiya, conferma il clima di profondo sospetto e frustrazione che regna nella fazione sunnita – al potere ai tempi del rais Saddam Hussein – che ha perso i privilegi di un tempo, ma conta di riconquistare posizioni dopo la risicata vittoria alle parlamentari di marzo 2010. Lo stesso al-Maliki ha lanciato appelli ai sunniti, chiedendo loro di aderire a un governo di larghe intese, ma le proposte sono rimaste ad oggi inascoltate. Il governatore chiarisce infine che la lotta politica non sarà fonte di nuove violenze confessionali. “La popolazione – afferma – non ne può più di queste cose”. Mosul, come Kirkuk (ricca di petrolio) e altre zone “sensibili” dell’Iraq, sono al centro di una battaglia serrata fra curdi e arabi, che ha causato morti e devastazioni.
 
Intanto a Baghdad, funzionari della fazione sunnita parlano di un possibile sostegno al Primo Ministro uscente, indirizzandolo verso la conferma, se il loro leader alle elezioni parlamentari sarà eletto presidente dell’Iraq, con poteri maggiori rispetto agli attuali. La carica di Capo dello Stato, al momento, ha incarichi che sono più di rappresentanza; la riforma prevede invece poteri nei settori della politica estera, della difesa e nel settore dell’energia. La coalizione sunnita, vicina al blocco Iraqiya, annuncia che l’eventuale accordo metterebbe fine al boicottaggio contro il governo al-Maliki e allo stallo politico che, da oltre sette mesi, impedisce al Paese di formare un nuovo esecutivo. Il governo sarebbe inoltre formato da sunniti e sciiti, oltre che dai due principali leader politici irakeni: Nouri al-Maliki e Ayad Allawi.
 
Per conquistare la premiership, al-Maliki deve ottenere più della metà dei 325 voti parlamentari. Ad oggi egli vanta 132 sostenitori certi, cui dovrebbero aggiungersi altri 32 per conquistare la maggioranza assoluta. Nel caso in cui l’accordo dovesse andare in porto, sancendo la presidenza ad Allawi e la carica di premier a Maliki, essa estrometterebbe dai ruoli chiave la fazione curda, che ad oggi vedeva un proprio rappresentante (Jalal Talabani) alla massima carica dello Stato. Tuttavia resta un grave problema di equilibrio al fondo: se Allawi e Maliki si aggiudicassero presidenza e premiership, le due posizioni di vertice verrebbero – di fatto – occupate da esponenti della comunità sciita.
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