17/04/2009, 00.00
SRI LANKA
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Gruppi di cristiani del sud visitano i profughi della guerra a Vavuniya

di Melani Manel Perera
L’iniziativa è promossa dal Christian Solidarity Movement che vuole ripetere il viaggio ogni settimana. Lo scopo è di dare un segno concreto di solidarietà alle vittime della guerra e abbattere il muro di ostilità tra singalesi e tamil costruito lungo i 25 anni di conflitto. AsiaNews ha intervistato p. Sarath Iddamalgod, uno dei promotori del progetto.
Colombo (AsiaNews) - Dare un segno concreto di solidarietà e abbattere il muro di ostilità tra singalesi e tamil costruito lungo i 25 anni di guerra civile. È questo il senso dell’iniziativa promossa dal Christian Solidarity Movement (Csm) di Colombo: visitare ogni settimana le popolazioni di Vavuniya e nelle altre città del nord dell’isola.
 
Sarath Iddamalgod, uno dei coordinatori del Csm, intervistato da AsiaNews, spiega che l’idea di andare a trovare con regolarità gli abitanti delle zone di guerra “è nata come risposta ad una semplice domanda: Cosa possiamo fare per loro?”.
 
“Dopo la nostra primissima vista - racconta p. Iddamalgod - abbiamo avuto la netta sensazione che la comunità tamil è adirata per il modo in cui viene trattata dal governo singalese. Inoltre percepiscono nei cristiani singalesi una insensibilità verso i loro problemi e un’immobilità verso le loro rivendicazioni. Per questo abbiamo capito che dovevamo promuovere quante più iniziative possibili per risvegliare l’attenzione della popolazione del sud verso il bisogno di mettere fine alla guerra e trovare una soluzione politica. Tra queste, un’importante attività di solidarietà è quella di visitare le comunità tamil di Mannar e Vavuniya e incoraggiare quante più persone possibili a fare lo stesso per scoprire loro stesse le sofferenze della gente del nord. Dopo questa decisione due sacerdoti hanno raccolto l’invito e la settimana successiva 41 persone sono andate a Vavuniya. La prossima visita è organizzata per il 20 di aprile.
 
Chi sono queste 41 persone che hanno visitato Vavnuiya?
Tutti lavoratori nell’ambito del sociale: membri della Sramabimani Kendraya [una ong che opera nella Free Trade Zone, ndr] e di altre organizzazioni, suore e sacerdoti, ma c’è anche un monaco buddista che viene dal villaggio di Wellawaya, molto lontano da Colombo.
 
Come fa un monaco buddista a partecipare a iniziative del Christian Solidarity Movement?
I membri del Csm hanno rapporti stabili con i monaci. Io stesso ho incontrato questo monaco di recente in occasione di un incontro sulla pace organizzato dalla Chiesa metodista. Era d’accordo con lo scopo della nostra missione e lo ho invitato ad unirsi a noi.
 
Eppure molti monaci affermano che lo Sri Lanka deve essere un Paese completamente singalese e completamente buddista….
È vero. Ma quello che ho visto è che anche lui non si aspettava che il popolo tamil soffrisse in modo così profondo. È rimasto scioccato quando ha visitato l’ospedale e ha detto a p. Rohan che era con lui che il popolo tamil doveva essere tormentato. Era dispiaciuto di non aver nulla da offrire. Questa esperienza è stata così profonda che è tornato a casa la sera stessa.
 
Come si è svolta l’ultima visita e come siete stati accolti al check point?
Al check point di Medawachchiya [il principale posto di blocco che separa il nord dal sud, ndr] hanno sollevato un po’ di questioni su dove stavamo andavamo, perché …. Alla fine abbiamo dato la lista dei nomi e il lasciapassare che avevamo ottenuto delle più alte autorità. Una volta entrati nella zona, in serata un gruppo ha visitato l’ospedale. Ciò che hanno visto, ha scioccato tutti in particolare chi era lì per a prima volta. E molti del gruppo hanno visto per la prima volta migliaia di rifugiati raccolti in una scuola circondata da due serie di filo spinato sopra il muro di cinta. Il commento dei più è stato: ‘le notizie che ci vengono raccontate al sud sono tutte spazzatura’ o che ‘i media non dicono mai la verità’. E tutti si sono chiesti perché nascondere la verità al popolo.
Alle sei di sera le due comunità, il gruppo singalese e i 50 parrocchiani tamil, hanno partecipato alla preghiera comune nella chiesa. È stata l’occasione per testimoniarci a vicenda che la comunità cristiana è un corpo solo e partecipa alle sofferenze della popolazione del nord.
 
Avete visitato altri centri di accoglienza?
Il giorno dopo siamo andati alla chiesa di Chettikulam e abbiamo visto gli spazi per l’accoglienza allestiti nei locali della parrocchia. Che sensazione… sono schiavi nella loro stessa terra. Sono persone che aanno chiesto di lasciare le aree controllate dai ribelli tamil e spostarsi in quelle sotto il controllo del governo. Ma adesso sono come prigionieri. La polizia ci ha chiesto di non fare domande ai rifugiati, ma uno dei sacerdoti del gruppo, p. Selvaraj (che è un prete tamil), è riuscito a parlare con alcuni di loro. Ha avuto l’impressione di gente molto arrabbiata; alcuni sono anche aggressivi. Poi c’è da aggiungere il risentimento della comunità locale. Abbiamo parlato con alcuni leader che ci hanno detto che circa 80mila ragazzi di 16 istituti della zona non possono andare a scuola perché sono diventati campi rifugiati. È una situazione drammatica. Abbiamo anche visto l’ospedale che sta sulla strada tra Vavuniya e Chettikulam, il cosiddetto ospedale della varicella. Lì ci sono centinaia di persone che vengono accudite da sei suore che lavorano nell’ospedale….
 
Qual è il suo giudizio dopo questo ultimo viaggio?
Il vescovo, i sacerdoti, le suore ed anche i fedeli ci hanno incoraggiato a tornare ancora. Altri ci hanno chiesto cosa era successo dopo la nostra precedente visita. Si lamentavano perché non era stato fatto nulla per ridurre le loro sofferenze. Ed è vero, perché ci sono troppi danni, dolori, sofferenze e la frustrazione è estremamente profonda. Non si può descrivere e non si può sanare. E questi sono i problemi che ora mi angustiano.
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