14/09/2009, 00.00
GIAPPONE
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Hatoyama contro i gas serra: 25% in meno entro il 2020

di Pino Cazzaniga
Il vincitore delle elezioni promette di superare il Protocollo di Kyoto. Il Giappone diventa leader mondiale per la salvaguardia del creato. Assieme al Vaticano.

Tokyo (AsiaNews) - Entro il 2020 in Giappone le emissioni di gas serra nell’atmosfera saranno diminuite del 25% a partire dai livelli del 1990. Lo ha annunciato Yukio Hatoyama, presidente del Partito democratico del Giappone (Dpj), che a giorni sarà nominato primo ministro. La promessa, resa nota dallo stesso Hatoyama il 7 settembre in un discorso tenuto durante l’Asahi World Environment Forum a Tokyo, ha sorpreso ambientalisti e industriali. I primi l’hanno accolta con entusiasmo, gli altri con preoccupazione.

La metamorfosi politica della nazione che il 30 agosto ha avuto come protagonisti gli elettori prosegue con decisione ad opera del partito vincitore.

Fiducia popolare, diffidenza delle industrie

Il “primo ministro in attesa” senza lasciarsi intimidire dalle previste reazioni degli industriali, ha motivato la decisione dicendo  che l’impegno per la salvaguardia dell’ambiente “ è uno dei nostri [Dpj] impegni stipulati nel nostro manifesto [elettorale] e quindi dobbiamo avere la volontà politica di tendere alla sua realizzazione usando tutti i mezzi politici”.

Consapevole che le sue parole, a causa del contesto ambientale del discorso e della carica che egli sta per assumere, sarebbero risultate un messaggio ai responsabili di molti governi nel mondo, ha aggiunto: “Noi mireremo a stabilire una struttura internazionale giusta ed efficiente che coinvolga tutte le maggiori nazioni del mondo” nell’impegno per affrontare con efficacia il problema del riscaldamento del pianeta.

Nel mese di giugno il primo ministro Taro Aso aveva, al riguardo, deciso di diminuire dell’8% l’emissione di gas serra nell’atmosfera per lo stesso periodo di tempo. Quella decisione era stata giudicata poco ambiziosa dall’Unione Europea e azzardata dalla Keidanren, la Confindustria giapponese.

Hatoyama l’accantona sostituendola con un’altra che è, a dir poco, ardita. Alla base delle due politiche opposte ci sono due diverse idee di governo. Aso è l’espressione di un partito (Ldp) ormai paralizzato dalla collusione con l’industria e la burocrazia (il “triangolo di ferro”), Hatoyama è il fondatore di un partito (‘Dpj) che ha messo come principio della sua filosofia politica la priorità della persona umana sull’economia. La metamorfosi politica del Giappone continua. La fiducia che gli elettori  hanno dato al Dpj, è stata ben riposta.

Dal protocollo di Kyoto al meeting di Copenhagen

Hatoyama nel discorso al Forum ha esortato le maggiori nazioni del mondo ad essere d'accordo su "ambiziosi" obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra quale “precondizione" per l'efficacia del rinnovato piano ecologico di Tokyo, presentato come "Iniziativa Hatoyama" 

Questa sviluppa il piano che l'anno scorso l'allora primo ministro Yasuo Fukuda aveva presentato al summit del G8 tenuto presso il lago Toyako (Giappone) che, in sostanza consisteva nell’impegno comune a diminuire del 50% il tasso di anidride carbonica nell’atmosfera entro il 2050.

La proposta, benché approvata oralmente dagli “otto”, non è apparsa nella dichiarazione congiunta finale per l’opposizione della Cina e dell’India alle quali era stata concessa una presenza collaterale al meeting. “Noi leader delle maggiori economie del mondo, sia sviluppate che in via di sviluppo - si legge in quel documento - ci impegniamo a combattere il cambiamento del clima in conformità alle nostre comuni ma differenziate responsabilità e rispettive capacità” (cfr. AN luglio 2008). Mancano le cifre di riduzione.

In seguito l’Unione Europea ha chiesto con insistenza che si fissassero “ambiziosi” obiettivi a mezzo termine come condizione necessario per poter raggiungere il traguardo del 2050. Con il discorso al Forum dell’Asai il “primo ministro in attesa” ha indicato il suo obiettivo a mezzo termine per il Giappone

Hatoyama ha aggiunto che anche le nazioni in via di sviluppo devono fare sforzi per ridurre le emissioni di gas serra “nel processo di raggiungere uno sviluppo sostenibile e di eliminare la povertà secondo il principio delle responsabilità comuni ma differenziate”. Il nuovo governo da lui guidato studierà i modi e procurerà mezzi finanziari e tecnologie per assistere le nazioni in via di sviluppo nella lotta contro il cambiamento del clima.

Questo movimento politico globale fa parte di un itinerario che la comunità internazionale ha iniziato a Kyoto nel 1997 al termine di una conferenza internazionale sul clima organizzato dalle Nazioni Unite, dove è stato formulato il cosiddetto “Protocollo di Kyoto,” che è un trattato adottato dalla comunità internazionale entrato in vigore nel 2005. Le oltre 150 nazioni che vi hanno aderito si impegnano a ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 5% entro il 2012.

A dicembre di quest’anno i rappresentanti di circa 200 nazioni si riuniranno a Copenaghen per rinnovare o rifare il protocollo che, appunto, scade nel 2012.  Con il discorso di settembre al Forum Asai, Hatoyama ha indicato in anteprima una meta concreta e sufficientemente “ambiziosa” anche per gli europei.

Critiche e consensi

La promessa del prossimo primo ministro è stata criticata con asprezza da alcuni grandi gruppi industriali giapponesi. Per essi gli obiettivi del Dpj sono illusori e porranno il Giappone in posizione di svantaggio nella competizione internazionale.

Tutto ciò è forse un allarmismo esagerato e miope. Al contrario, il disastro ecologico pone il mondo produttivo del Giappone in posizione di favore, se ha il coraggio di partecipare al rinnovamento politico in corso. Ha le capacità di farlo perché, come ha scritto tempo fa l’editorialista del quotidiano coreano Donga-a Ilbo, “il Giappone fa sentire la sua presenza nel mondo come leader dell’industria ecologica grazie alla sua preminenza nella tecnologia per la riduzione del gas serra”.

Le reazioni al discorso di Hatoyama dall’estero sono state positive. Yvo de Boer, segretario del dipartimento per il cambiamento del clima alle Nazioni Unite (UNFCCC) ha detto: “L’intenzione del Dpj di ridurre del 25% le emissioni del gas serra sotto il livello del 1990 è lodevole. Essa è in linea con le necessità indicate dalla scienza e affretterà il processo di un reale cambiamento dell’economia giapponese”

Convergenza con il pensiero della Chiesa cattolica

L’attenzione prioritaria del nuovo governo giapponese per la salvaguardia della natura  è conforme allo spirito cattolico. Benedetto XVI nella recente enciclica Caritas in veritate ha scritto: “La Chiesa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve proteggere l’uomo contro la distruzione di se stesso”.

Il quotidiano The Japan Times,  citando un saggista del Los Angeles Times, presenta il Vaticano come un modello nella leadership della cultura del verde, modello di realizzazione e non solo profeta di verità. Sintetizziamo il saggio: Benedetto XVI diversamente da altri capi di Stato non si è limitato a parlare in modo appassionato dell’urgente necessità di proteggere il pianeta dalla catastrofe climatica. Egli ha agito con due iniziative concrete che sono non costose, rapide ed efficaci.

Il Vaticano ha annunziato infatti che restaurerà 15 ettari di foresta in Ungheria che era stata disboscata durante il Medioevo. Gli alberi che cresceranno assorbiranno sufficiente anidride carbonica da controbilanciare tutto l’inquinamento prodotto dal combustibile fossile usato nella Città del Vaticano.

Ma quell’iniziativa è solamente un inizio. In Vaticano è già stato dato il via alla copertura con pannelli solari del tetto dell’immensa sala Paolo VI usata per le udienze. L’elettricità prodotta è sufficiente per illuminare, riscaldare e rinfrescare la hall per tutto l’anno. In progetto vi è pure l’impianto fotovoltaico più grande del mondo a S. Maria Galeria, sul terreno della Santa Sede, dove vi sono gli impianti della radio Vaticana. L’energia prodotta sarà sufficiente per l’intero Stato della Città del Vaticano e avrà addirittura un surplus da offrire allo Stato italiano.

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