04/01/2011, 00.00
LIBANO
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I cristiani fermento di modernità nel mondo arabo

di Fady Noun
Essi sono una fonte di ricchezza per l’avvenire, anche se la loro presenza è a volte “indesiderata”. L’islam vive una fase di cambiamento, ma la politica deve essere separata dalla religione. I cristiani restano una comunità “assetata di modernità”, senza la loro presenza, il mondo arabo “non ha futuro”.
Beirut (AsiaNews) – I cristiani d’Oriente hanno “smesso di contare”, come afferma il libro di Pierre Valognes, “Vita e morte dei cristiani d’Oriente”? Sono una “razza in via di estinzione”, come azzarda – in privato – un diplomatico? E saranno un giorno, come i Pellerossa d’America, confinati nelle riserve, perché la loro civiltà sarà stata soppiantata da un’altra tecnologicamente meglio equipaggiata? Del resto tutto è possibile, perché la storia è un grande cimitero della civiltà. Ma è proprio questo il caso?
 
Ebbene, la questione non è così semplice, in primis perché la realtà attuale del mondo arabo – e del mondo occidentale – è stata forgiata e intessuta in modo irreversibile dal pensiero cristiano. Il modo di pensare nel mondo arabo è, in parte, di natura cristiana. Esso continua a modellare il nostro pensiero e il nostro avvenire. Da cristiano, va da sé che non si tratta di dogmi cristiani propriamente detti, ma di un modo di essere, di un modello di rapporto fra fede e ragione, temporale e spirituale, individuale e collettivo.
 
Ma prima di tutto, contestiamo alla radice l’espressione “cristiani d’Oriente” che viene dall’Occidente e ci dà una immagine venuta dall’Europa. I cristiani d’Oriente sono legati ai cristiani del mondo arabo, tanto quanto un albero di Natale realizzato in Cina è paragonabile agli abeti della Foresta Nera. È una forma priva di sostanza. È un inganno. Una convenzione. Con questi strumenti concettuali, non si andrà molto lontano.
 
Muro di bronzo
 
Per misurare, valutare l’avvenire dei cristiani nel mondo arabo, bisogna da un lato conoscere la storia di questo mondo, misurare quanto lo spirito cristiano lo ha impregnato e, dall’altro, sapere contro quale formidabile muro di bronzo, contro quale bastione epistemologico, filosofico, storico si scontra in questo momento, e l’islam con lui. Bisogna inoltre valutare la realtà politica ed economica del mondo arabo e della sua classe dirigente, e sapere quali fermenti li attraversa. Bisogna anche andare oltre le forze brute politiche e militari che ne caratterizzano il presente, così drammatico come appare, per andare in profondità.
 
Sarà così possibile capire che mediante l’università, che costituisce una delle realizzazioni culturali fra le più prestigiose della civiltà cristiana, il mondo arabo e l’islam vengono sfidati dalla ragion critica e dai suoi strumenti esegetici e storici. Non è dunque il cristianesimo, ma l’islam – l’islam che si tenta di cristallizzare nell’islamismo – che subisce in questo momento il cambiamento più profondo della sua storia, sebbene i cristiani del mondo arabo attraversino al tempo stesso una fase di espropriazione dei loro diritti religiosi e civili, come l’accesso alle cariche pubbliche, il diritto di ricostruire i muri di una chiesa o quello di sedersi sulla soglia in tutta tranquillità.
 
Un esempio delle sfide lanciate all’islam ci viene fornito dalla guida della Rivoluzione islamica, Ali Khamenei, il quale ha stabilito in anticipo che le conclusioni del Tribunale internazionale sul Libano – incaricato di far luce sull’assassinio dell’ex Primo Ministro Rafic Hariri nel 2005 – qualsiasi esse siano, e ancor prima che vengano pubblicate, saranno “nulle e non pervenute”. Ecco dunque il “muro di bronzo” al quale facevamo riferimento in precedenza. Se fosse di natura esclusivamente politica, questa contestazione si potrebbe giustificare senza alcun dubbio. Ma non si tratta di questo, poiché si presenta come un giudizio politico-religioso che emana dalla più alta autorità islamica in Iran, il “Wali el-Fakih”. Così, il mito politico-religioso prende il sopravvento sulla realtà, l’evidenza razionale. La compenetrazione del temporale e dello spirituale, a questo livello, sconfina nell’assurdo. In questo caso specifico, il conflitto irriducibile fra un giudizio giuridico e uno di tipo religioso, tra ragione e fede, è evidente, ma quanti indizi apparentemente razionali sono in realtà dei blocchi epistemologici ignorati.
 
Produrre civiltà
 
Il poeta di origine siriana Adonis afferma con forza che, oggi, il mondo arabo-islamico è in grado di “produrre civiltà piuttosto che consumarla”. Critico verso le religioni, Adonis lo è ancor più nei confronti dei regimi arabi, all’ombra dei quali il pensiero raggiunge il limite massimo come se, oltrepassata una certa soglia – sia per ragioni politiche o religiose – lo spirito si impoverisce di nuovo e ripiomba senza variazioni nella propaganda e nei luoghi comuni. Perché? E come uscirne? Ecco le vere domande che i regimi politici del mondo arabo devono porsi, accanto a quelle che vengono sollevate da una presenza cristiana giudicata a livello locale indesiderata. E la seconda domanda somiglia alla prima: senza i cristiani, quale avvenire si prospetta per il mondo arabo, ovvero un mondo solamente arabo-islamico?
 
Per familiarizzare meglio con queste diverse problematiche e prospettive esistono diverse opere in libreria. Una delle più recenti è un libro scritto dal giornalista Jean-Michel Cadiot e distribuito da Salvator (Paris): “I cristiani d’Oriente, vitalità, sofferenza, avvenire”. Giornalista, Jean-Michel Cadiot ha scritto numerosi saggi sul Medioriente, la vita politica francese e la democrazia di ispirazione cristiana. Egli ha vissuto e lavorato per molti anni in Iraq e in Iran e ha viaggiato a più riprese in Medioriente e in Asia. È vice-presidente di AEMO, associazione francese di mutua assistenza per le minoranze d’Oriente. La sua opera è zeppa di date e di cifre, così numerose da renderla un po’ arida, per il desiderio di raccontare tutto perché il lettore possa capire tutto, tanto da rallentarne la lettura. Ma bisogna andare oltre; è un libro che esce dal sentiero comune. Esso ricorda che i cristiani sono fermento di modernità nel mondo arabo. L’autore racconta la storia ma evoca anche l’attualità di questi “cristiani d’Oriente”, aggiungendo all’approccio teologico una inedita analisi geopolitica, con serenità e senza nascondere le prove terribili incontrate. E ne rivela anche una visione del futuro.
 
Egli scrive che “oggi nella fedeltà alle loro tradizioni e ai loro riti, terribilmente colpiti da guerre e vessazioni, i cristiani d’Oriente, circa 100 milioni, formano una comunità dinamica, assetata di modernità e di giustizia, ma anche di riconoscenza e rispetto”. È un fatto del tutto evidente: il futuro dei cristiani d’Oriente è strettamente legato al futuro del mondo arabo. Di contro, senza i cristiani il mondo arabo non ha futuro, meno ancora nella modernità. Perché il processo che porta all’individuo, l’aspirazione alla libertà, alla coscienza individuale di sé come soggetto di diritti inalienabili – come la libertà religiosa e di coscienza – sono il centro della modernità. E questo tipo di processo non potrà essere selettivo: sarà collettivo, altrimenti non si realizzerà affatto.   
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