06/12/2010, 00.00
CINA
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I funghi venduti a Pechino sono sbiancati con la candeggina

Uno studente accerta che l’81% dei funghi sono sbiancati con sostanze chimiche. L’Ufficio per la sanità alimentare smentisce, ma tutti credono allo studente. Latte alla melamina: i genitori delle vittime chiedono l’elemosina per pagare le cure. Nessuna notizia di Zhao Lianhai.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – L’81% dei funghi venduti a Pechino sono stati “sbiancati” con prodotti chimici pericolosi: è un ulteriore capitolo sui veleni nei cibi cinesi. Intanto non si hanno più notizie dell’attivista Zhao Lianhai, condannato a due anni e mezzo di carcere per avere difeso i diritti dei bambini malati per il latte alla melamina, che non possono essere nemmeno curati perché non hanno diritto a cure gratuite e nessuno li ha risarciti.

Zhang Hao è uno studente di Pechino di 11 anni, adora i piatti a base di funghi. A febbraio sua madre gli ha proibito di mangiarli, dopo avere letto sui media alcuni casi di funghi “candeggiati”. Allora Zhang ha pensato di esaminare 14 tipi di funghi freschi e 2 essiccati, scelti in modo casuale tra quelli in vendita. Con il microscopio ha cercato tracce di agenti chimici candeggianti, lavorando sotto la supervisione di uno studente ricercatore presso un laboratorio di microbiologia all’Università Agricola di Cina.

Ha così accertato che 13 dei 14 tipi di funghi freschi erano stati “sbiancati” con prodotti chimici, mentre quelli secchi non erano contaminati. L’ingestione di candeggina o sostanze simili può danneggiare il fegato, provocare l’asma e reazioni allergiche.

La notizia è stata riportata su decine di quotidiani nazionali e ha suscitato grande scalpore. L’Ufficio di Pechino per la Sicurezza Alimentare ha svolto propri accertamenti e ha risposto che oltre il 97% dei funghi venduti nella capitale sono privi di contaminazioni chimiche e sicuri da mangiare.

Ma i consumatori rimangono scettici e dicono ai media di credere più al ragazzo che agli uffici statali: un’indagine via internet del quotidiano comunista China Youth Daily tra 1.100 persone ha mostrato che la netta maggioranza dà fiducia a Zhang. Il Paese ha visto ripetuti scandali alimentari, con l’uso nei cibi di prodotti nocivi, con gli uffici preposti alla sanità alimentare spesso rimasti inerti. Per di più varie volte le autorità, in simili casi, hanno soltanto cercato di mettere a tacere e limitare le notizie.

Nel settembre 2008 è esploso lo scandalo del latte per neonati contenente melamina, sostanza usata per le materie plastiche ma velenosa per l’uomo, che ha causato almeno 6 bambini morti e oltre 300mila malati ai reni. Il governo in un primo momento promise cure gratuite e risarcimenti, anche per tacitare l’opinione pubblica furente, ma in seguito ha soltanto offerto risarcimenti minimi, fra l’altro del tutto inadeguati per le costose cure mediche: 2mila yuan (227 euro) per i 300mila malati, 30mila yuan (3400 euro) per quelli molto gravi, 200mila yuan (22.670 euro) per i 6 morti.

Molti genitori hanno rifiutato e hanno cercato di fare causa per il risarcimento del danno, ma i giudici non hanno accettato di trattare le cause.

Molte famiglie, per curare i figli, devono chiedere l’elemosina. Altri genitori hanno iniziato a fare continui controlli sulla qualità del latte delle grandi imprese: quando riscontrano possibili problemi, vanno dal produttore e minacciano di renderli pubblici. Così ottengono qualche soldo per curare i figli.

Zhao Lianhai, il cui figlio è tra le vittime della melamina, ha cercato di organizzare i genitori per difendere insieme i diritti dei figli. Ha creato un sito su internet e stava raccogliendo adesioni, ma lo hanno arrestato, processato e condannato il 10 novembre per “disturbo all’ordine pubblico”. La sua condanna ha suscitato proteste internazionali, ma ora non si sa che fine abbia fatto Zhao. I suoi avvocati sono stati revocati, senza poterlo vedere, e senza poter presentare appello. L’agenzia statale Xinhua il 23 novembre aveva riportato che fosse liberato per motivi medici, ma non è successo. La moglie è da settimane agli arresti domiciliari di fatto, con la casa sorvegliata da poliziotti.

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