09/11/2016, 14.24
ASIA - M. ORIENTE - USA
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I saluti e i timori dell'Asia per la vittoria del presidente Donald Trump

Prime reazioni sul 45mo presidente degli Stati Uniti. L'amicizia fra Trump e Putin. Turchia, Egitto e Arabia Saudita vogliono rilanciare i vecchi legami. Timori da Teheran per l’accordo nucleare. In Cina si discute delle “incertezze” che emergono dopo il voto. Putin apre a nuove relazioni. Dal card. Parolin l’invito a lavorare per la pace in una “situazione mondiale di grave lacerazione”. 

 

Washington (AsiaNews) - “Facciamo gli auguri al nuovo presidente, perché il suo governo possa essere davvero fruttuoso”. È quanto afferma il segretario di Stato Vaticano, il card Pietro Parolin, commentando l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti per il quadriennio 2016-2020. Il capo della diplomazia vaticana assicura “la nostra preghiera” perché “il Signore lo illumini e lo sostenga al servizio della sua patria” e per il “benessere” e la “pace nel mondo”. Il porporato ricorda che è tempo di “lavorare tutti per cambiare la situazione mondiale […] di grave lacerazione, di grave conflitto”.
La vittoria del candidato repubblicano alla Casa Bianca ha sorpreso commentatori e analisti in patria e all’estero; i
mercati internazionali hanno reagito in maniera negativa, con i principali indici in netto ribasso. Unica eccezione la borsa di Mosca, che registra un saldo positivo e anche la moneta locale, il rublo, appare stabile di fronte al dollaro. 

Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, felicitandosi con il vincitore, ha dichiarato che ora la leadership di Washington è “più importante che mai” e che la Nato è “pronta a lavorare con il presidente eletto Trump”. Durante la campagna elettorale, il magnate aveva scatenato una polemica lasciando intendere che l’impegno militare degli Usa in Europa – per contrastare eventuali aggressioni russe – doveva essere sostenuto economicamente dagli alleati europei.

L’elezione di Trump solleva dunque incognite, soprattutto per le sue scelte di politica estera. Intanto arrivano le dichiarazioni di governi, analisti e personalità del mondo asiatico, che fra dubbi e aspettative attendono le prime mosse del 45mo presidente degli Stati Uniti. 

Medio oriente 

Dall’accordo nucleare iraniano alla guerra in Siria; dalla lotta allo Stato islamico al conflitto israelo-palestinese, passando per il rilancio dei rapporti con alleati storici come Turchia, Egitto e Arabia Saudita, raffreddati negli ultimi tempi. Sono molti i dossier aperti che lo attendono sulla scrivania dello Studio Ovale.

In Turchia, i vertici governativi negli ultimi tempi ai ferri corti con l’amministrazione Obama, accolgono con soddisfazione l’elezione del candidato repubblicano. “Mi congratulo con Trump - ha affermato in una nota il Primo Ministro Binali Yildirim - per la presidenza degli Stati Uniti e gli auguro i migliori successi”. Ankara chiede già al prossimo inquilino della Casa Bianca di estradare “il prima possibile” il predicatore islamico Fethullah Gülen, ritenuto la mente del fallito golpe di metà luglio. 

Con l’elezione di Donald Trump, il presidente Abdel Fattah al-Sisi auspica una “nuova linfa” nei rapporti fra Egitto, il Paese arabo più popoloso al mondo, e Stati Uniti. Egli è stato uno dei primi dirigenti del mondo arabo a complimentarsi con il candidato repubblicano nelle ore successive alla vittoria elettorale. Il Cairo spinge per un riavvicinamento con l’alleato storico Usa, dopo il raffreddamento nelle relazioni seguito alla cacciata nel 2013 dell’ex presidente Mohamed Morsi, leader dei Fratelli musulmani (movimento sostenuto da Washington). Serve “più cooperazione e coordinamento”, aggiunge al Sisi che prima del voto aveva definito Trump un “buon dirigente”, in un’ottica di pace e stabilità per tutto il Medio oriente. 

Dall’Iran il ministro degli Esteri Javad Zarif invita il presidente eletto Trump a “rispettare gli accordi” internazionali sul nucleare siglati lo scorso anno da Teheran e Washington. In campagna elettorale il candidato repubblicano ne aveva messo in dubbio la bontà, preoccupando non poco i vertici della Repubblica islamica che già devono fronteggiare una fronda interna ostile. “Il presidente degli Stati Uniti - ha affermato Zarif - deve capire la realtà del mondo di oggi. La cosa più importante è che il futuro presidente rispetti gli accordi, gli impegni presi non a livello bilaterale, ma in un contesto multilaterale”.

La scelta dell’elettorato americano viene accolta con soddisfazione in Israele, con l’establishment di destra convinto di trovare in Trump una sponda per mettere fine all’idea di uno Stato palestinese e un sostenitore degli insediamenti, che vanno aumentati. Il ministro dell’Istruzione Naftali Bennett ha affermato che è “finita” l’idea di una nazione chiamata Palestina ed è tempo di archiviare le basi di anni di negoziati di pace. 

Una posizione caldeggiata da altri esponenti della destra israeliana, che invitano il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e il suo governo e rilanciare i progetti di nuovi insediamenti nei Territori occupati in Cisgiordania e a Gerusalemme est. Il Parlamentare Bezalel Smotrich chiede “migliaia di nuove unità abitative e la costruzione di nuove cittadine” rimuovendo “l’idea che gli insediamenti siano un ostacolo alla pace”. E lo stesso premier Netanyahu in una nota diffusa stamane definisce Trump “un vero amico di Israele”. 

In chiave opposta il messaggio di auguri e congratulazioni dai vertici della Palestina, che esortano il neo presidente eletto a lavorare per la nascita di uno Stato. Nabil Abu Rudeina, portavoce dell’Autorità palestinese, si dice pronto a dialogare con il nuovo inquilino della Casa Bianca “in merito alla soluzione dei due Stati e alla nascita di una nazione palestinese sui confini del 1967”. Hamas, che controlla la Striscia di Gaza, dice di non aspettarsi grandi cambiamenti nella politica americana verso la regione e verso i palestinesi in particolare.  

Il mondo musulmano in genere appare preoccupato per l’elezione di Trump, tanto che molti cittadini di diverse nazioni a maggioranza islamica si chiedono se vi saranno nuove guerre. Altri ricordano ancora la retorica anti-musulmana utilizzata dal candidato repubblicano durante la campagna elettorale e temono una escalation dell’estremismo islamico in risposta a politiche più dure della nuova amministrazione Usa. Tuttavia, vi sono anche musulmani che guardano all’elezione con maggiore ottimismo, come un cittadino statunitense [musulmano] di origini libanesi, il quale ricorda le parole critiche di Trump per i danni causati dalla politica estera americana in Medio oriente. Un esempio su tutti, i 60 miliardi di dollari spesi per sostenere le guerre nella regione, e che potevano essere utilizzati per rilanciare l’economia interna. 

In un telegramma di congratulazioni, il re dell’Arabia Saudita Salman auspica che Trump possa portare “stabilità” e “sicurezza” in Medio oriente, rafforzando gli antichi legami che uniscono “due Paesi amici” fra loro. Anche se, va detto, di recente si erano raffreddati anche in conseguenza dell’accordo nucleare iraniano e di interessi contrapposti nella regione. 

In Iraq ricordano le forti “relazioni bilaterali” e gli “interessi comuni” con Washington e non vi è il timore di grandi cambiamenti con la vittoria di Trump alle presidenziali. Accordi economici e lotta al terrorismo sono “dossier comuni”, spiega una fonte governativa a Baghdad, perciò “le relazioni resteranno le stesse”. “Si tratta di un cambio di persone - conclude la fonte - e non di politica che rimarrà la stessa di sempre”. 

Asia dell’Est

Dal punto di vista ufficiale, in Cina il portavoce del ministero degli esteri ha dichiarato che essa è pronta a lavorare insieme al futuro presidente americano, per uno sviluppo solido e stabile delle relazioni diplomatiche bilaterali. Da un altro lato, quello dei media, si riflette sulle “incertezze” che questa elezione porta con sé.  Il Global Times, giornale vicino al Partito comunista cinese, afferma che la vittoria di Trump manifesta la distanza fra l’élite politica (rappresentata dalla Clinton) e “la classe media e bassa”.

Vi è anche un lato nascosto: le autorità della censura di Pechino hanno diramato ordini perché su internet, alla tivu e sui giornali non si dia troppo spazio alla kermesse elettorale e ai commenti. Allo stesso tempo essi devono diffondere “in fretta” tutti gli scandali emersi durante queste elezioni. Qiao Mu, professore all’università di Pechino per gli Studi stranieri afferma: “Vogliono far credere al popolo cinese che la democrazia occidentale è una brutta cosa”.

In ogni caso, la vittoria di Trump rischia di portare tensioni con la Cina. Durante la campagna elettorale, il magnate Usa ha accusato Pechino di manipolare il valore dello yuan per favorire il suo export e di sovvenzionarlo in modo ingiusto, promettendo di combattere il protezionismo cinese che penalizza i prodotti americani.

Nelle alleanze strategiche e militari, Trump ha sottolineato che gli Usa vogliono ridurre le spese militari e per questo egli chiederà contributi al Giappone, alla Corea del Sud, all’Arabia saudita per contribuire all’aiuto militare offerto dal suo Paese.

Nonostante ciò, il premier Shinzo Abe si è subito felicitato con Donald Trump e ha detto che “Giappone e Stati Uniti sono alleati irriducibili, legati a valori comuni come la libertà, la democrazia, i diritti dell’uomo, lo stato di diritto”. Di contro, i giapponesi hanno reagito con sgomento all’elezione e serpeggia una certa preoccupazione riguardo a come questo cambiamento influirà sulle relazioni tra Tokyo e Washington.  Il South China Morning Post in un sondaggio aveva rivelato che, se le elezioni si fossero tenute in Giappone, la candidata Hilary Clinton avrebbe riscosso dai cittadini l’88% di preferenze. Emi Doi, giornalista del Nippon.com, ha giudicato l’elezione di Donald Trump “spaventosa”. Il premier Abe, che stava programmando di incontrare a febbraio la candidata repubblicana Hilary Clinton a Washington, ha tentato di calmare la propria nazione non appena lo yen si è impennato e i titoli sono scesi.

Oggi in Corea del Sud si è riunito il Consiglio per la sicurezza nazionale per discutere la vittoria del candidato repubblicano e l’effetto che quest’evento apporterà al la Corea. L’ambasciatore americano in Corea Mark Lippert ha assicurato che l’alleanza fra i due Paesi continuerà. Yun Byung Se, ministro degli esteri della Corea del Sud ha assicurato che Donald Trump continuerà a mantenere immutata la politica con la Corea del Nord. “Trump ha affermato che il più grande problema che il mondo sta affrontando è la minaccia nucleare e i membri del suo team per la sicurezza nazionale sono concordi sul tenere una posizione che favorisca l’applicazione di forti pressioni contro la Corea del Nord”. 

In Russia, il presidente Vladimir Putin si è felicitato con Trump per la sua vittoria e spera in un miglioramento delle relazioni, al presente in una “situazione critica”. Da parte sua, Trump ha più volte elogiato la leadership di Putin, tanto da essere accusato dalla Clinton di essere un suo “burattino”. In compenso, Trump ha sostenuto più volte che occorreva un’alleanza con la Russia per combattere e sconfiggere Daesh in Medio oriente.

Sud-est asiatico

Dall’Indonesia giungono voci di preoccupazione per l’elezione di Trump. Secondo il Consiglio degli ulema indonesiano (Mui), la vittoria del magnate potrà creare tensioni fra gli Stati Uniti e il mondo musulmano. Din Syamsuddin, membro di primo piano del Mui, ricorda che in passato Trump ha fatto commenti “negativi e cinici” proposito dei musulmani e “ha dimenticato che molti americani sono immigrati”.

Il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte si è congratulato con Trump per la vittoria elettorale, promettendo un miglioramento delle relazioni fra i due Paesi “fondate sul mutuo rispetto”. Il segretario delle Comunicazioni di Manila ha detto: “L’elezione del presidente degli Stati Uniti è un testamento della tradizione duratura del suo sistema democratico e del modo di vivere americano.

Congratulazioni sono giunte anche dal primo ministro della Malaysia Najib Razak, che ha auspicato una continuità nei buoni rapporti con Washington: “Ci aspettiamo – ha detto – di continuare i dialoghi sotto il presidente eletto Trump. Mi congratulo con lui per la straordinaria vittoria e non vedo l’ora di incontrarlo presto”. Il primo ministro ha aggiunto che i rapporti con gli Stati Uniti hanno avuto una svolta nel 2014 che i due Paesi sono alleati nella lotta globale al terrorismo e all’estremismo. Il successo di Trump, ha concluso Najib, mostra che i politici non devono mai dare per scontato il voto degli elettori.

Asia del Sud

Tutti i Paesi dell’Asia del sud sono rimasti a bocca aperta per l’elezione del magnate newyorkese come 45mo presidente degli Stati Uniti. Ancora adesso, a diverse ore di distanza dalla notizia, i maggiori quotidiani online in lingua inglese sono come ibernati e riportano pochi aggiornamenti. 

I primi ministri di India, Bangladesh e Pakistan hanno inviato messaggi di congratulazioni. In India la maggior parte dei giornali parteggiava per Hillary, considerata una sorta di continuazione naturale delle politiche di Obama. Per giorni hanno riportato le previsioni dei sondaggi favorevoli alla candidata democratica, e oggi sollevano dubbi sulla validità di tali misurazioni.

Più che analizzare il voto, le maggiori testate preferiscono soffermarsi sulle ripercussioni della tornata elettorale per l’India. In particolare si festeggia Kamala Harris, procuratrice della California, la prima indo-americana ad essere eletta al Senato per lo Stato che rappresenta. Oltre alla senatrice democratica, l’India plaude la nomina di Raja Krishnamoorthi, anch’egli democratico, che occuperà il seggio parlamentare dell’Illinois al Congresso, e spera nella conferma di altri tre politici di origine indiana.

I giornali riportano inoltre la notizia che alla diffusione del risultato favorevole a Trump, i siti internet degli uffici per l’immigrazione di Canada e Nuova Zelanda sono andati in tilt per l’elevato numero di visite, segno della preoccupazione dilagante tra gli immigrati, anche musulmani, che non hanno la cittadinanza e temono l’espulsione. Bobby Ghosh, direttore dell’Hindustan Times, afferma che “l’islamofobia è dannosa per gli Stati Uniti e per l’India […] Forse fantasticheremo che Trump sarà un bene per noi perché la sua genuina islamofobia lo renderà nemico del nostro nemico, il Pakistan […] L’islam è una delle nostre fedi, praticata dal 15% della popolazione: chiunque vuole danneggiare i musulmani, danneggia 150 milioni di indiani”.

A proposito di immigrazione, in Pakistan si teme per i cittadini musulmani, più volte attaccati dal nuovo presidente. Alijah Diete, attivista, sostiene sul Dawn: “Sono preoccupato, ci saranno nuove guerre? L’America attaccherà di nuovo dei Paesi musulmani?”. Il giornale riporta le paure presenti tra i Paesi asiatici a maggioranza islamica e afferma che “per lui [Trump] i musulmani sono degli stranieri”.

In Bangladesh, i leader dei tre maggiori partiti politici affermano che “l’elezione di Trump non cambierà le relazioni tra i nostri Paesi”. In Nepal e Sri Lanka, i giornali riportano solo la “sorprendente vittoria” del leader repubblicano.

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