13/11/2007, 00.00
IRAQ
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I “successi” di Baghdad e l’“inferno” di Mosul

I progressi della sicurezza nella capitale inducono numerosi profughi a fare ritorno. Il merito al piano Petraeus, ma anche alla collaborazione delle forze irachene e delle realtà tribali sunnite e sciite. A Mosul, però, continua la caccia al cristiano: freddato davanti alla sua abitazione un fedele caldeo, che gestiva un negozio di liquori.
Baghdad (AsiaNews) – Migliora la sicurezza a Baghdad e per le famiglie emigrate si inizia ad accendere la speranza di poter fare ritorno a casa. Ma in altre zone del Paese le condizioni di vita sembrano solo peggiorare: fonti di AsiaNews parlano ormai di un “governo islamico” a Mosul e raccontano di continui omicidi mirati contro i cristiani. L’ultimo ha colpito un giovane caldeo, padre di famiglia.
 
Il primo ministro iracheno Nouri Al-Maliki ha ribadito che la sicurezza nel Paese è migliorata, adducendo come prova il fatto che siano rientrate 7mila famiglie, costrette in precedenza ad emigrare per fuggire dalle violenze, 3100 persone solo negli ultimi 90 giorni. "La gente ormai si gode la vita normale, che sta ripristinandosi nelle strade e nei mercati", ha proseguito Maliki. Attività commerciali – raccontano gli abitanti – rimangono aperte fino a tardi la sera, cosa impossibile fino a 6 mesi fa; le donne possono spostarsi anche da sole e in generale si respira un clima più rilassato anche in zone molto pericolose come Dora e Adhamiya, sebbene i rapimenti non siano cessati. "Siamo stati in grado di ritornare alla vita dopo otto mesi di inasprimento delle misure repressive", ha aggiunto, alludendo alla campagna lanciata lo scorso febbraio, in concomitanza con l'aumento di truppe (30mila uomini) deciso dagli Stati Uniti. "Molti terroristi hanno lasciato l'Iraq, e altri si stanno nascondendo", ha concluso, precisando che il totale degli attentati dinamitardi è sceso del 77 per cento dal giugno scorso, quando sono state dispiegate le truppe Usa del "surge". 
Le cause di una diminuzione delle violenze terroristiche e tra milizie religiose è imputabile a più fattori oltre che al piano Petraeus: la collaborazione dei clan tribali sunniti e sciiti con le forze irachene e le truppe della coalizione contro Al Qaeda, la cui presenza è ormai riconosciuta come nociva da più parti; il reinserimento di membri del partito Baath, di Saddam Hussein, nelle fila dell’esercito regolare e delle strutture statali.
 
Altro segno positivo di miglioramento nella capitale è la notizia dell’insediamento ufficiale oggi del nuovo rappresentante speciale delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura, nominato nel settembre per rilanciare il ruolo dell’Onu in Iraq. La rappresentanza dell’organismo internazionale era stata chiusa e poi riaperta con poche centinaia di dipendenti in seguito al sanguinoso attentato del  19 agosto del 2003 contro il quartiere generale Onu a Baghdad.
 
Dal nord del Paese, dove numerose famiglie soprattutto cristiane, sono emigrate in cerca di sicurezza, fonti di AsiaNews confermano che in molti stanno pensando di fare ritorno a Baghdad, in un clima di rinnovata speranza. “Magari entro un anno”, pensano i più cauti. Da registrare che il rientro di iracheni dall’estero coincide anche con un inasprimento delle misure sull’immigrazione nei Paesi ospitanti, come Siria e Giordania, la difficoltà di registrarsi presso l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR), e l’impossibilità ormai di condurre all’estero una vita dignitosa. L’agenzia Irin nota che dopo anni fori dall’Iraq senza lavoro, molte famiglie hanno terminato i loro risparmi e rimpatriano spinte dalla disperazione. Emblematico il caso di Zia Qahtan Naeem, padre di tre figli, 46 anni, che in un anno in Siria ha dato fondo a 30mila dollari e che si accinge a tornare a Baghdad come se dovesse “affrontare una pena di morte”.
 
Ma i “successi” di Baghdad non si riflettono in altre zone del Paese. Se a Kirkuk, contesa tra curdi e arabi, la situazione è “delicata, ma stazionaria” - come la definiscono alcuni funzionari locali - a Mosul è un “inferno”. Abitanti del posto riferiscono della presenza ormai di un “governo islamico”, con tutte le conseguenze tragiche che questo comporta per la piccola comunità cristiana. La settimana scorsa, davanti alla sua abitazione, è stato ucciso un uomo caldeo Khaled Sako, 35 anni e padre di tre figli. Era l’unico della sua famiglia rimasto in Iraq e gestiva un negozio di liquori. Lo hanno freddato alle spalle mentre entrava a casa, raccontano testimoni oculari.
 
 
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