13/08/2018, 11.39
CINA
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Il Global Times difende la mano dura di Pechino contro i musulmani uiguri: ‘Serve per la pace’

Un editoriale del quotidiano di Stato loda le politiche repressive attuate nella regione contro gli uiguri. Lo Xinjiang ha scongiurato il pericolo di diventare “la Siria o la Libia della Cina”. Rapporto di una commissione Onu denuncia la presenza di un milione di musulmani rinchiusi in campi d’internamento.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La mano dura dei funzionari di Pechino sui gruppi etnici del Xinjiang è un prezzo accettabile da pagare se si vuole mantenere la pace e la stabilità nella regione. È quanto afferma oggi un editoriale del Global Times, quotidiano del Partito comunista cinese, in risposta alle accuse lanciate dalla commissione Onu sull’eliminazione delle discriminazioni razziali, che lamenta “massicce violazioni dei diritti umani” nei confronti dei musulmani uiguri. Per il giornale di Stato cinese, la popolazione non deve lasciarsi influenzare “dall’opinione pubblica distruttiva dell’Occidente”. Al contrario, ribadisce che “pace e stabilità devono prevalere prima di tutto. Con questo obiettivo, bisogna tentare ogni strada. Dobbiamo sostenere la nostra convinzione che mantenere i tumulti fuori dallo Xinjiang sia il diritto umano più grande”.

La reazione di Pechino è dovuta ai risultati di una relazione presentata a Ginevra il 10 agosto scorso. Durante la seduta Gay McDougall, vice-presidente dell’organismo Onu, ha denunciato la presenza di un milione di musulmani uiguri detenuti in maniera illegale e senza accuse formali in campi di internamento cinesi. Secondo la funzionaria, altri due milioni sarebbero rinchiusi in maniera forzata in centri di rieducazione per indottrinamento politico e culturale.

Gli uiguri sono un’etnia di religione musulmana che vive nello Xinjiang, regione nord-occidentale della Cina. La persecuzione contro questa minoranza si è intensificata a partire dall’aprile 2017, quando Pechino ha avviato una politica della “terra bruciata” per bloccare possibili influenze radicali afghane o pakistane. A causa della loro religione, gli uiguri sono considerati dei terroristi e per questo vengono imprigionati o deportati in massa. Il governo centrale impone loro il divieto di digiunare durante il mese del Ramadan e di frequentare la moschea prima dei 18 anni, l’obbligo di installare sui propri cellulari un’applicazione che consente di tenerli sotto controllo e il taglio della barba per gli uomini. In realtà in tutto il Paese vivono appena 10 milioni di uiguri, su un totale di quasi 1,4 miliardi di abitanti: per questo attivisti e esperti ritengono che il numero esiguo non costituisca un reale pericolo che possa sfidare l’amministrazione centrale.

Secondo il Global Times, lo scopo di politici e media occidentali è di “fomentare i disordini nel Xinjiang e distruggere la stabilità guadagnata con fatica nella regione”. L’editoriale respinge le critiche e sottolinea: “Grazie alla forte leadership del Partito comunista cinese, la forza nazionale del Paese e il contributo di funzionari locali, lo Xinjiang è stato salvato dal baratro dei tumulti massicci. Ha scampato il destino di diventare ‘la Siria della Cina’ o ‘la Libia della Cina’”. “Non c’è dubbio – conclude l’articolo – che l’attuale clima di pace e stabilità nello Xinjiang sia dovuto in parte all’intensità delle regole. Ovunque si può vedere polizia e posti di blocco. Ma è solo una fase che lo Xinjiang sta attraversando per ricostruire la pace e la prosperità. Alla fine tornerà il governo normale”.

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